Avessimo avuto una squadra di calcio per cui fare il tifo, a vedere il rugby non saremmo andanti. O forse si. Perché il mondo della palla ovale è esattamente come lo fanno vedere in tv: con il terzo tempo i tifosi mischiati e i fiumi di birra. Una cartolina fuori dallo spazio, uno spettacolo di buone maniere interpretato da autentici cavalieri. La nazionale piace, al di là degli All Blacks e della sacralità che gli appartiene. Lo testimoniano gli stadi stracolmi, gli applausi scrosciati - nonostante le sconfitte - e i numeri, dinnanzi ai quali, insegnano i matematici, poco si può opporre.

Adesso ne abbiamo compreso anche il motivo: bisognava esserci per rendersene conto. Niente biglietti nominali, zone di pre-filtraggio, check point, perquisizioni e documenti d’identità. Le file scompaiono o si affrontano con una pinta in mano. Sul palco la banda non smette di suonare, sotto i bambini sognano di diventare campioni: i genitori li guardano da lontano e li lasciano fare. Meglio mangiare un panino con la salsiccia, tanto laggiù, al massimo, si sbucciano un ginocchio. E le ferite ad un certo punto si rimarginano, intanto, temprano lo spirito e forgiano il carattere.

Sembra uno spot della "Mulino Bianco", è la cronaca di un pomeriggio insolito. Almeno per noi, cresciuti col mito della sfera e dei pentagoni bianchi e neri. E ci passa per la testa di non avere capito niente, di aver dedicato la giovinezza allo sport sbagliato, di aver dato troppa importanza a un derby perso. L’Italia soccombe 66-3, ma il risultato non conta e non è una frase fatta. Al fischio finale sono giri d’onore e mani sfregate. Funziona così e non ci resta che imparare, farcene una ragione.

I neozelandesi, poi, sono la firma d’autore su un quadro prezioso. L’autografo che ne conferisce immortalità. Come loro nessuno mai, forse solo il Dream Team americano e la nazionale di calcio brasiliana. Girano il mondo esportando talento e la foglia di felce argentata, simbolo di una nazione di cui sono diventati i migliori ambasciatori. Lezione di classe ed educazione. Chiudiamo gli occhi: magari il loro tour infinito passasse un giorno da Messina. Avremmo tutti bisogno di qualche ripetizione.

La sera il sogno svanisce, accendiamo la tv e guardiamo il Superclasico. Ah no, scusate. Ma questa è un'altra storia.  

Sezione: Altri Sport / Data: Dom 25 novembre 2018 alle 12:20
Autore: MNP Redazione / Twitter: @menelpallone
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