Ieri, il maestro Gibì el brusalerba ha deciso di dire basta con questo mondo. Se n’è andato in maniera tranquilla, quasi serafica, com’era abituato a vivere. Il mondo del calcio italiano piange un professore d’altri tempi, un uomo che ha catalizzato su di se la stima delle piazze che l’hanno abbracciato nella sua immensa carriera, ormai una cosa più unica che rara. Nel calcio attuale, lo abbiamo appena visto, i veri uomini sono praticamente spariti, soppiantati dal prototipo del calciatore arrogante e superficiale, dedito al denaro ed al narcisismo più esasperato, incapaci di onorare le piazze dove sono stati osannati.

Giovanni Battista Fabbri, invece, è riuscito ad unificare idealmente tutti coloro che hanno avuto il piacere di vederlo giocare ed "insegnare". Solo i tifosi over 65 potranno ricordarlo con la biancoscudata indosso, ma el brusalerba ha donato all’Acr Messina i migliori anni della sua vita da calciatore. Dopo quattro anni passati tra Cento e Modena, quell’ala instancabile, capace letteralmente di arare la fascia, venne ingaggiata dall’ambiziosa formazione peloritana, che progettava il ritorno in cadetteria. E quell’emiliano apparentemente tranquillo, con una riverenza quasi sacrale, prese in mano il centrocampo giallorosso, conducendo il Messina ad una storica promozione in serie B, nella stagione 1949/50. Rimase in riva allo Stretto per altre cinque stagioni, collezionando ben 157 presenze con 21 reti, che fanno di lui il ventesimo di tutti i tempi, a pari merito con Jovenitti.

Quando, nel lontano 1955, decise di tornare dalle sue parti, aveva già dato il meglio di sé. Visse altre quattro stagioni da calciatore con le maglie di Spal, Pavia e Varese, prima di cominciare ad insegnare calcio e scoprire talenti. Seguace della spettacolarità e del pragmatismo olandese, allenò per ben quarant’anni, lanciando campioni del calibro di Fabio Capello. Il suo più grande miracolo, però, lo mise a segno in quel di Vicenza: tra il 1976 e il 1979, infatti, conquistò con la Lanerossi una promozione in massima serie ed un incredibile secondo posto in A, alle spalle della Juventus. Il suo capolavoro fu lo spostamento di Paolo Rossi da ala destra a centravanti. Pablito, grazie all’intuizione del Gibì, divenne la macchina da gol che salirà sul trono del mondo.

In seguito continuò a salire e scendere per lo stivale, insegnando il calcio per come lo vedeva lui, fino a quando decise che era troppo anziano, anche per il mestiere della sua vita. A 89 anni, nella sua Ferrara, ha appeso definitivamente gli scarpini al chiodo. Addio, glorioso cuore biancoscudato. 

Sezione: Amarcord / Data: Mer 03 giugno 2015 alle 16:52
Autore: Marco Boncoddo / Twitter: @redattore
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