Prendi un livornese verace, con una intensa passione per il calcio, e trapiantalo in un ambiente sanguigno come quello di Messina… sicuramente otterrai un condensato esplosivo e, molto probabilmente, vincente. E’ quello che accadde all’alba degli anni ’60 sulle rive dello Stretto, quando sbarcò in città un certo Umberto Mannocci, personaggio fiabesco proveniente da Livorno. Quel toscano dalla risposta prontissima e dalla costituzione in “calcarenite” (come le rocce dell’arenile labronico) entrò immediatamente nella storia calcistica biancoscudata, sia per i risultati conseguiti da allenatore che per la costruzione di una mitologia intorno alla sua istrionica persona.

In realtà il suo fu un ritorno in grande stile: tra il 1952 ed il 1954, infatti, Mannocci aveva vestito la maglia biancoscudata da calciatore, collezionando 51 presenze e ben 13 reti. Un bottino niente male, soprattutto dal punto di vista realizzativo, considerato che il futuro allenatore livornese giocava come mediano, principalmente con compiti di rottura. La sua carriera da giocatore gli regalò discrete soddisfazioni, permettendogli di indossare maglie blasonate come quelle, tra le altre, del Pisa, del Livorno e della Sampdoria.

La sua notorietà a livello nazionale, però, giunse con i gradi da allenatore, figura che interpreterà in maniera moderna e totalizzante. Terminata la carriera nel 1956 a Cecina, ritornò immediatamente a Pisa, città rivale della sua Livorno, per intraprendere la carriera di allenatore. In quattro anni alla guida dei nerazzurri riuscì a centrare due promozioni, portando la squadra della torre pendente in serie C. Proprio in quegli anni cominciò ad emergere il suo carattere sanguigno, poco incline al compromesso ed estremamente incendiabile: nel 1958, infatti, subì sei mesi di squalifica a seguito di un derby contro il “suo” Livorno, finito in rissa.

Dopo un anno ad Arezzo, nel giugno del 1961 arrivò la chiamata del Messina, che lo porterà alla sua prima esperienza in cadetteria. Umberto Mannocci conosceva abbastanza bene il calore dell’ambiente peloritano e, per questo motivo, modificò il suo ruolo di semplice allenatore, facendolo evolvere in un modernissimo incarico che arriverà ad assomigliare a quello degli odierni manager inglesi. La prima stagione nella città dello Stretto, la serie B 1961-62 conclusasi al settimo posto, pose le basi per il miracolo dell’anno successivo, quando l’A.C.R. conquistò la sua prima promozione in serie A dominando un campionato difficile ed agguerrito. Umberto Mannocci, alla guida di un gruppo che entrerà nei cuori dei messinesi, sfoggiò per tutta la stagione conferenze stampa "alla Mourinho", tutelando la propria squadra con la sua monolitica figura. Epico, tra l'altro, il turbolento finale di stagione 1962-63, passato interamente a litigare con chiunque si frapponesse tra il suo Messina e la massima serie.

Il 25 maggio del 1963, con la squadra a pochi punti dal matematico salto in massima serie, infatti, il mister labronico lanciò, sulle colonne della Gazzetta del Sud, un annuncio rude, che servì a scuotere l’ambiente prima della delicata sfida casalinga con il Catanzaro: “Chi non è disposto a sostenerci farebbe bene a restarsene a casa. I giocatori, dopo un campionato tirato a tutta birra, ora che sono alle ultime battute, altrettanto impegnative, attendono l’incitamento del pubblico. E mi auguro che il pubblico non deluda le nostre aspettative”. Parole forti, inequivocabili, che portarono il Celeste al tutto esaurito, con conseguente vittoria per 2-0 sui giallorossi calabresi.

Ma Umbertone diede il meglio di sé nella giornata successiva, quando il Messina, pareggiando 0-0 a Bari contro una rivale per la promozione, conquistò la matematica certezza del salto in serie A. I galletti, che di lì a poco raggiungeranno i biancoscudati in massima serie, speravano di raccogliere l’intera posta in palio contro un Messina che avrebbe potuto conquistare la promozione nella giornata successiva in casa. Ma la granitica squadra di Mannocci resistette e conquistò il punto dell’apoteosi. Le sue parole nel post-gara, rilasciate ai cronisti dell’epoca, sono forti ed incisive: “Ad un certo punto ho dovuto alzarmi dalla panchina per andare verso il centro del campo. Non mi consentivano più di stare al mio posto. Il pubblico è stato intemperante. Cosa volevano? Che regalassimo loro i due punti?”. Di lì a poco, però, l’allenatore del Bari Pietro Magni, aggredirà Umberto Mannocci nel tunnel degli spogliatoi, come annotato dall’inviato della Gazzetta (riportiamo lo stralcio dell’epoca): “Siete venuti per picchiare! – grida Magni a Mannocci non si gioca così! Replica immediata del toscano di Messina: - Dovevamo forse segnare noi i goal per voi? Avete giocato contro una squadra di serie C! Vergognatevi!” Tornata la calma, il tecnico del Messina, con gli occhi lucidi per il risultato raggiunto, affermerà al cronista della Gazzetta Nino De Feudis: Magni voleva che segnassimo noi per loro… loro hanno attaccato, noi ci siamo difesi. Non dimentichi, Magni, che ho giocato con una squadra per metà di ragazzi, viste le assenze. I miei sono così, vengono tutti dalla IV serie o dalla C, sono costati quattro soldi, ma sanno giocare così. Ci siamo difesi, ma non abbiamo commesso nessun fallaccio! Magni forse è risentito nei miei riguardi perché l’anno scorso con il Messina andammo a vincere a Busto Arsizio, a casa sua. Amico mio, il calcio è fatto così”.

Dichiarazioni che, nel calcio di oggi, stereotipato e banale, un po’ tutti i tifosi vorrebbero sentire. E, di lì a poco, incassato il rinnovo contrattuale, Umberto Mannocci partirà alla volta di Milano, per costruire una squadra all’altezza della serie A. Fu uno dei primi, infatti, a collaborare fattivamente con i dirigenti all’assemblamento della compagine da allenare. Nel frattempo, riuscì anche a passare dalla Figc per ritirare, per il secondo anno consecutivo, il “seminatore d’oro”, riconoscimento conferito al miglior allenatore della cadetteria.

E quella squadra, da lui costruita, riuscì a raggiungere la salvezza in serie A nell’anno successivo, facendo sciogliere il toscano di granito in un pianto liberatorio, arrivato dopo il pareggio di Modena, il famoso 0-0 seguito alla radio da una marea di messinesi riuniti a Piazza Antonello: “Abbiamo conseguito oggi un risultato che per noi vale quanto quello ottenuto a Vienna dall’Inter (la vittoria della Coppa dei Campioni ndr). Noi abbiamo vinto una battaglia perduta già a metà campionato. Abbiamo avuto fiducia io, i giocatori, i dirigenti e siamo andati avanti. Ogni partita è stata uno spareggio e siamo arrivati in fondo al campionato e abbiamo ancora la forza per fare altri venti incontri! Il Modena, alla fine, era spento: i miei giocatori potrebbero intrecciare adesso, in mezzo al campo, il più indiavolato dei twist!”.

Di lì a poco, la fiaba messinese di Mannocci si interromperà bruscamente. Un’offerta di 25 milioni annui, giunta dalla dirigenza della Lazio, convinse il livornese a rifiutare il rinnovo del Presidente Muglia che, incredibilmente, aveva messo sul piatto la cifra record di 50 milioni di lire. Nonostante il faraonico stipendio, Umbertone decise di intraprendere il salto di carriera da vincente, salutando la tifoseria in maniera commossa.

Nelle due stagioni e mezzo alla guida delle aquile, però, il tecnico toscano raccolse ben poco, subendo un cocente esonero nella stagione 1966-67. L’anno seguente, un Messina in declino lo richiamò in panchina ma, la difficile situazione economica ed una sequela di problemi societari ed ambientali, condanneranno lui e la squadra ad una mesta retrocessione in serie C.

Da questo momento, Umbertone affronterà una lenta parabola discendente che lo porterà, dopo un ritorno a Pisa e qualche anno sulle panchine di Mantova, Potenza, Colleferro, Marsala e Frosinone, ad abbandonare il campo per ricoprire il ruolo di direttore tecnico di Cosenza, Frosinone e Galatina.

Salutò tutti nel 2004, all’età di 82 anni, poco dopo aver assistito alla nuova promozione in serie di quella squadra che, come affermato più volte, fu il grande amore della sua vita. Lui, toscano verace, innamorato dello Stretto, del quale divenne trascinatore e condottiero. Umberto Mannocci da Livorno, il primo special one del Peloro. 

Sezione: Amarcord / Data: Mar 29 dicembre 2015 alle 14:30
Autore: Marco Boncoddo / Twitter: @redattore
vedi letture
Print