Le grandi società italiane, in crisi economica da qualche anno, puntano forte sulla costruzione di stadi di proprietà, per ottenere quegli introiti che stanno facendo le fortune di club come Real Madrid e Barcelona. La Juventus ha da tempo edificato il suo gioiello, mentre le altre compagini della serie A, studiano progetti con l’avallo dei comuni, chiedendo risorse a banche e crediti sportivi. Cagliari, Ascoli, Trapani sono solo alcuni degli ultimi casi di impianti riadattati. E poi c'è il modello di "recupero" del Frosinone, destinato anche questo a diventare apripista per il futuro del calcio italiano. Perlomeno, così dovrebbe essere. 

Certamente, il mutamento del pianeta calcio, passato da semplice svago a business mondiale, richiede nuove strade e maggiori certezze economico-finanziare a chi pretenda il massimo risultato, qualunque sia la competizione di pertinenza. Ma forse, tutto questo parlare di incassi, bilanci, plusvalenze e fair play finanziario non ha fatto altro che distruggere la romantica atmosfera che circondava, da sempre, lo sport più amato dagli italiani. Un clima composito, condito da radioline, chiacchiere da bar, odori e sensazioni, che richiamano alla mente immagini in bianco e nero, fatte di calzettoni abbassati e grasso per scarpini.

L’avvento del ventunesimo secolo, ha portato in dote a Messina un nuovo stadio ed una sfolgorante sequela di partite fino ad allora solo sognate, prima del nuovo declassamento nell’inferno del dilettantismo, dal quale i giallorossi sono usciti a fatica. In ogni caso, l’abbandono del Celeste ha significato molto per i tifosi giallorossi…la fine di un’epoca, durante la quale u campu ha regalato pomeriggi palpitanti agli innamorati della maglia biancoscudata. Uno stadio che, fin dal 1932, ha fatto letteralmente sognare i supporters peloritani, terrorizzando le squadre avversarie con il suo spettacolo di corpi, colori e vessilli addossati sul campo da gioco.

La sera del 5 giugno 2004, i messinesi impazziti per la conquista della massima serie, abbandonarono il loro Celeste, salutandolo come un vecchio amico che, tristemente ma serenamente, si avvia verso una vita diversa. Ma i tifosi giallorossi con qualche capello bianco, ricorderanno un altro piccolo grande trauma, avvenuto nell’ormai lontano 1983, ovvero il repentino e virulento abbandono dei cosiddetti tavuluni. Gli insicuri, traballanti, incerti e meravigliosi tavuluni, adagiati sulle mitiche impalcature di “Tubi Innocenti” (dai più ribattezzati innoccenti), furono gli incontrastati protagonisti dei risultati del Messina fino a 30 anni fa.

All’epoca, gradoni e muratura erano soltanto un’utopia, per non parlare poi dei futuristici seggiolini, installati sugli spalti del San Filippo poco dopo l’arrivo del nuovo millennio. Un tempo, neanche troppo lontano, il tifoso giallorosso che seguiva il Messina al Celeste, non poteva fare altro che assieparsi su quella precaria ma al contempo rassicurante intelaiatura, certo che solo il risultato della biancoscudata avrebbe potuto avere potere di vita o di morte sul tubulare ferroso.

La barcollante struttura, infatti, tremava e gemeva sotto i piedi di migliaia di messinesi che, all’unisono, saltavano ed imprecavano rischiando il dramma. A volte, invece, per mostrare il disappunto nei confronti di una pessima prestazione dei giallorossi, parti della struttura venivano dati alle fiamme, come se infliggendo quel dolore al Celeste si volesse punire l’anima stessa della squadra. Altri tempi, altro calcio, altra Messina. Ma se volete far luccicare gli occhi di qualsiasi tifoso over 50, pronunciate la parola "tavuluni". Un empireo fiabesco lo avvolgerà totalmente. Altro che museo del Camp Nou!

Sulla riapertura del Celeste, come spesso accade in città, ci si divide: la società sembra avere le idee chiare, almeno fin quando non si tornerà a parlare di ambiziosissimi obiettivi, l'impianto di via Oreto potrebbe tornare ad ospitare partite di squadra professionistiche. Unendo al contempo l'esigenza commerciale attuale limitata rispetto ad uno stadio da 40 mila posti, ma anche la storia, la tradizione, l'anima di un'intera tifoseria. 

Sezione: Amarcord / Data: Lun 17 aprile 2017 alle 08:01
Autore: Marco Boncoddo / Twitter: @redattore
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