La prima volta che misi piede allo stadio, avevo più o meno 6 anni, ed in un "Celeste" gremito in ogni ordine di posto, il Messina, battendo 1-0 il Rende, festeggiava, davanti ai suoi tifosi l’approdo nell’allora serie C2. A quell’età di tattica non capisci granché e, i discorsi dei grandi su come andasse giocato correttamente quel pallone, non ti sfiorano nemmeno. Gli occhi e le orecchie del bambino sono piuttosto catturati dalla confusione, da un insieme di voci e colori, di cui fai fatica a comprendere il senso, ma che già ti è entrato dentro.
E’ in quell’esatto istante che più o meno inconsapevolmente, hai preso una delle decisioni più importanti della tua intera esistenza. Sempre più spesso chiederai a tuo padre di portarti al campo e quando, tornato dal lavoro si presenterà a te con i biglietti della partita, ti sentirai il più felice dell’universo. Le domeniche inizieranno ad essere scandite da un rituale ben preciso e, mentre tutto intorno a te, giorno dopo giorno cambierà, quell’appuntamento settimanale rimarrà l’unico punto fermo della tua agenda. Rinuncerai a compleanni, gite e feste in genere, con la radicata convinzione di aver fatto un vero e proprio affare, perché: “La torta poteva essere anche buona, ma vuoi mettere se mi fossi perso il gol di Buonocore al Palermo”. Il Messina, in una sola parola è diventato la tua ragione di vita, e mentre per qualcuno sei un pazzo, tu ostenti la tua fede con sprezzante superiorità. Fai il tifo per una squadra che in particolar modo in casa non conosce sconfitta ed il lunedì, a scuola, con la sciarpa giallorossa al collo, è di certo meno pesante.
In breve, hai vissuto un' infanzia felice, la più bella che si possa desiderare e sarebbe da irriconoscenti non ricambiare il favore, adesso, che la maggiore artefice di ciò, si barcamena tra mille difficoltà. I tempi di Aliotta sono lontani, l’Avvocato non c’è più, e in uno stadio semivuoto anche vedere i tifosi ospiti diventa un privilegio raro. “Dove sono quei rumori assordanti? Che fine hanno fatto i fumogeni, con il loro odore inconfondibile?” . Pensi questo mentre undici atleti con la maglia biancoscudata entrano in campo per sfidare la Paganese. Non è un match di cartello,ma poco importa, fondamentale è esserci. Bisogna salvarsi e, l’obiettivo più che dai loro piedi transita dal cuore e dalla voce dei tifosi.
Prima di incominciare però, un lungo applauso ed uno striscione levato al cielo dalla curva sud: 7 anni fa la tragedia di Giampilieri, è doveroso fermarsi un attimo, non lo dispone la lega, lo facciamo noi: erano messinesi, forse tifosi, sicuramente nostri fratelli.
Poi la parola passa al campo. La partita è brutta e le colpe sono soprattutto dei giallorossi, la gente canta ma sul terreno di gioco la grinta latita. Così dare seguito alla vittoria di Catanzaro è impossibile, ed infatti quasi subito gli azzurrostellati segnano. “Il tempo comunque, è dalla nostra manca ancora una vita e se riordiniamo le idee recuperiamo” . I pensieri dell’amico più ottimista inevitabilmente si scontrano con una realtà opposta. I campani sono squadra modesta, ma noi non facciamo nulla per renderlo evidente. Gridiamo, incoraggiamo e sosteniamo, invitando a non mollare, ma il coro rimane un urlo dispersosi in quella cattedrale nel deserto che è il "San Filippo". Al 45’ i primi fischi, fisiologici dopo una prestazione indecorosa, non svegliano i giallorossi, che proseguono nel loro copione da assenti ingiustificati. Marruocco, ex totalmente inoperoso è l’emblema di ciò che è stato e difficilmente sarà di nuovo, quando giocare in riva allo Stretto era una condanna per tutti e, la partita non conosceva altro risultato se non la vittoria dei padroni di casa.
La Paganese, intanto fiuta l’occasione e in contropiede più volte sfiora il raddoppio, fino a raggiungerlo ad una manciata di minuti dalla fine.
“Signori siam di Messina e ne siamo fieri, portiamo dentro le vene i nostri colori, passeranno i giocatori le annate le società, ma noi siamo sempre qua”.Qualcuno ha ancora la forza di cantare, mentre io mi siedo e rifletto. C’è chi mi invita ad iniziare ad andare via, lo guardo, non rispondo nemmeno. Ho visto la mia squadra subire umiliazioni più cocenti, non l’abbandonerò certo oggi al suo destino.
La gara è terminata, i fischi, sacrosanti, piovono, Stracuzzi è giustamente al centro della contestazione, ma io ho la testa altrove: “Domenica prossima portami al cinema”, avrà detto un bambino di sei anni al padre.
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