Messina, quando la società mina la serenità della propria squadra

Un anno e mezzo di gestione fallimentare per una società che ha mancato in pieno i propri obiettivi e sperperato denaro per presunzione e per non essersi data una giusta programmazione. Ingredienti che evidentemente, per Paolo Sciotto, il nuovo presidente del CdA dell’Acr Messina, dovrebbero portare l’ambiente a ringraziare il gruppo che nell’estate 2017 ha preso in mano le sorti del calcio peloritano iscrivendo la squadra in Serie D. Nota dura e inopportuna quella diramata ieri sera del figlio dell’ex presidente Sciotto, che lancia un’accusa totale verso giornalisti e tifosi, imputati di tenere un atteggiamento sbagliato “nei confronti di chi, nonostante tutto, è rimasto solo per evitare la fine definitiva del calcio a Messina”.

Un calcio che non è calcio quello proposto dal gruppo Sciotto in questo anno e mezzo, perché se è vero che Messina nelle ultime stagioni ha respirato soprattutto la polvere della Serie D, è altrettanto incontrovertibile che una piazza del genere non può lottare per la salvezza tra i dilettanti. Paolo Sciotto ritiene che il loro non sia un atto dovuto, ma, gestendo una squadra di calcio, ci si assume oneri e onori ed è lecito che la tifoseria contesti quando le cose non vanno per il verso giusto e che la stampa evidenzi i marchiani errori gestionali.

Lo sbandierato senso di responsabilità e amore per la causa calcistica, viene del tutto annullato da prese di posizione del genere, che, invece, non fanno il cosiddetto bene del Messina, anzi minano la serenità di un gruppo che domani affronterà una delle gare più importanti nella corsa alla salvezza diretta. Arcidiacono e compagni, però, partiranno verso Castrovillari solo alle prime luci dell’alba di domenica: l’ennesima decisione scellerata di una società che, in questo momento, dovrebbe coccolare i propri giocatori, desiderosi di dare continuità al roboante successo ottenuto con la Turris e che, vincendo in Calabria, potrebbero tirarsi fuori dalla zona playout. Invece, evidentemente, in casa Sciotto conta più l’orgoglio della sostanza.