Cosa sono i “secondi” nella vita di ognuno di noi? Attimi brevissimi, particelle di tempo che spesso scivolano via senza lasciare una traccia nell’andirivieni quotidiano. Il 28 dicembre del 1908, però, ne sono bastati solamente 37 per assestare una spallata apocalittica ad una città che aveva disegnato uno stupendo affresco in 26 secoli di vita, grammo più grammo meno.

Un’atroce tragedia che annientò la Nobile, annichilendola non solo nello spazio ma anche nelle viscere della sua cultura più recondita. I numeri, immutabili e freddi, squarciano il cuore come una lama fatale: ottantamila messinesi finirono sotto le macerie, generate dalla “morte” del 90% degli edifici peloritani.

Luigi Parmeggiani, cronista dell’epoca, scrisse: “Di fronte a noi un altissimo palazzo che prima ci chiudeva la vista era sparito ed il cielo stellato ed i monti della Calabria mi apparivano là dove prima non avevo mai potuto vederli […] a sinistra altri vuoti orrendi erano prima case e palazzi”.

Terrore, sgomento, vuoto. Tutto vorticosamente insieme, dopo una splendida serata natalizia che aveva regalato alla “Messina bene” la prima dell’Aida al Teatro Vittorio Emanuele. Quello stesso ceto aristocratico-borghese morì sotto le macerie della Palazzata oppure fuggì altrove. A seguito del disastro la città, senza una guida, si rivelò incapace di risollevarsi, riuscendo a riannodare pochissimi fili con il suo stesso passato ed affidando la sua economia agli interventi pubblici. Due terzi dei messinesi non esistevano più.

A differenza di quanto avviene ai giorni nostri, tutta l’Italia si strinse intorno alla città dello Stretto. L’Eco di Bergamo, giornale cattolico di una città del profondo nord, pubblicava lunghissime liste dei lettori orobici che avevano offerto denaro per aiutare i sopravvissuti. A tutti i bambini di Bergamo, inoltre, venne dato un salvadanaio in cui mettere dei soldi per le vittime. A Venezia, invece, i ferrovieri offrirono un giorno di paga. Sempre nella città lagunare, i carcerati della Giudecca chiesero di poter donare alle vittime i risparmi accumulati durante la prigionia. E le gare di solidarietà andarono avanti per tutto il 1909, con comitati che sorsero in tutta la penisola. Consistenti aiuti inviati dai milanesi, inoltre, contribuirono alla costruzione del quartiere lombardo, il primo in pietra della nuova Messina.

Il 28 dicembre 1908, com’è naturale, si portò via anche il calcio. Il britannico Football Club Messina, infatti, abbandonò l’attività fino al giugno del 1909, prima di lasciare il testimone “pallonaro” ad altre società.

Messina cominciò a rinascere, sullo stesso sito, ma fortemente diversa. Diversa era la gente, diversa era la disposizione delle case, irriconoscibile il profilo della città. Il “Teatro Marino” della Palazzata, che accoglieva i Ferry boats del continente non c’era più. Le chiese, i monumenti e le strade animate che connotavano la terra del Peloro avevano cambiato innaturalmente la loro essenza intrinseca.

Messina adesso è una città diversa. Erede di quella che fu la Nobile, martoriata e vilipesa, ma custode di una cultura che non è morta. Assopita, nelle mani di pochi, aspetta il suo momento… come un fuoco quasi estinto che cova sotto la cenere. Ricordare per ripartire, perché senza il passato nulla potrebbe esistere. 

Sezione: Fuori Campo / Data: Lun 28 dicembre 2015 alle 14:47
Autore: Marco Boncoddo / Twitter: @redattore
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