Bisognerebbe innanzitutto capire, quale sia stato il peccato capitale di cui si siano resi autori i tifosi del Messina. Che errore abbiano commesso, tanto grave, per essere obbligati, come nel più classico dei contrappassi danteschi, a patire tutto questo. Cercare a fondo, scavare alla radice dei problemi, ritengono gli esperti, sia il primo, necessario passo per tentare di risolverli e, allora via con le prove di memoria, giù con gli esami di coscienza. Ogni dettaglio non va scartato, tutto può essere utile ad offrire una spiegazione plausibile.
Ascolto con interesse le lamentele dei sostenitori di altre compagini, delusi, in quanto un ipotetico Dio del calcio, è costantemente impegnato a voltare loro le spalle, ed è inevitabile, mi venga da sorridere. Ci sono interisti scontenti, perché alle spese folli non hanno fatto seguito i risultati sperati, palermitani mortificati dalla recente gestione Zamparini, baresi condannati al limbo della serie b, laziali e salernitani accomunati nella contestazione al padron Lotito. Il giro d’Italia è lungo, e da Trapani a Pisa, passando per Sassari, gli esempi si moltiplicherebbero in maniera esponenziale. Motivazioni legittime, condivisibili e facilmente comprensibili a chi sconta la tua stessa condanna, ma inadeguate a reggere il confronto con la situazione biancoscudata.
In tal senso, Messina – Lecce, oltre ad essere sfida fra nobili decadute, è sintesi perfetta di quanto precedentemente affermato.
La vigilia della gara tra giallorossi di Sicilia e di Puglia, inizia molto presto. Sono, più o meno, le due del pomeriggio di venerdì ed un messaggio su whatsapp, mentre sono in autostrada, mi comunica l’anticipo alle 14,30 della partita, in programma per il martedì successivo. Alla base della decisione, un guasto all’impianto elettrico, in relazione al quale, la società si affretta a precisare di essere totalmente esente da colpe. Ora un appunto è doveroso farlo. Il ping-pong di responsabilità, il continuo scarica barile, è un gioco di cui francamente siamo stanchi. Questo spazio nasce per descrivere la condizione del tifoso, per esprimerne gioie e frustrazioni, per dare risalto, attraverso un punto di vista personale a sensazioni comuni. Trovare il capro espiatorio non è attività che ci compete, né tantomeno, passatempo a cui siamo avvezzi e non servirebbe, cosa più importante, a cambiare il risultato finale.
Giocheremo in uno stadio deserto perché, a nessuno è interessato impedire che fosse così, perché a fronte di noiosi e ridondanti proclami, finalizzati a portare la gente al campo, l’unico intento che traspare dalle vostre azioni, è far disamorare quei pochi, irriducibili rimasti. Tranquilli, continuando così ci riuscirete prima di quanto possiate immaginare.
Nonostante l’orario improponibile, grazie a salti mortali e notevoli sacrifici siamo presenti ed al resto proviamo a non pensarci. Un girone d’andata disastroso, infatti, ci impone di fare risultato, perfettamente coscienti che per Davide, battere Golia sarà impresa tremendamente ardua. I salentini, rientrano nel novero delle tifoserie insoddisfatte. Zemanlandia è lontana e, il Lecce, condannato alla Lega Pro dal calcio scommesse, malgrado da anni allestisca autentiche corazzate, puntualmente fallisce l’assalto alla cadetteria. In curva soffriamo, cantiamo, incitiamo e, nei primi venti minuti, ci illudiamo di poter essere qualcosa di più di un semplice sparring partner. Mentre si è ancora sullo 0-0, al grido di “Messinesi alè”, si leva al cielo della Sud uno striscione. Breve, coinciso, colmo di significato: "Basta morti sul lavoro... Vicini al vostro dolore".
Intanto gli ospiti passano, Caturano incompreso a queste latitudini, è oggi un bomber implacabile e non perde occasione per ricordarcelo. Subito dopo, Milinkovic la spara alle stelle. E’ la linea, neppure tanto sottile, posta a confine tra il paradiso e l’inferno, tra chi vola, capolista solitaria e chi sprofonda sommersa dalle sabbie mobili. Il raddoppio è fisiologica conseguenza di un match, mai, realmente iniziato, il duplice fischio, un sospiro di sollievo. Nella ripresa ci defiliamo, decidiamo viverla in maniera diversa, parliamo ridiamo e scherziamo, gettando, di tanto in tanto, un occhio al campo e, attendendo con ansia, il momento in cui, l’arbitro deciderà di porre fine allo strazio. D’altronde, mal comune mezzo gaudio.
Al 90’ il risultato è impietoso, uno 0-3 rotondo e meritato, consegna ad una maglia storica l’ennesima gratuita umiliazione. Non critichiamo, abbiamo esaurito le energie, fisiche e mentali. Provati, ci avviamo alla macchina, lo zio Ciccio è lì da un po', 82 anni, il passo lento, segnato dall’età ed il berretto giallorosso in testa. Per lui sì, che il Messina è un atto d’amore.
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