“Non sono più interessato al progetto. Non rispecchia il mio modo di fare calcio. E ancor di più impresa”. Questo il virgolettato pubblicato sulla Gazzetta del Sud in edicola oggi, attribuito a Francesco Barbera, che, così, ritira il proprio appoggio all’Acr Messina, dopo essere stato più volte considerato a fianco del gruppo Proto, insieme ad altri tre imprenditori messinesi, mai ufficializzati, ma ritenuti molto vicini all’esponente della famiglia proprietaria di un marchio famoso nella produzione del caffè, per sostenere l’operazione di rilancio della maggiore società calcistica cittadina e pianificare un futuro consono al blasone e al passato della maglia biancoscudata.
Il nome di Barbera viene evocato ormai da più di un anno, ma prima la chiusura di una trattativa mai sbocciata realmente con Stracuzzi e soci, protrattasi dall’ottobre 2015 per 8 mesi, e, adesso, queste dichiarazioni sembrano allontanare definitivamente la possibilità di un apporto finanziario importante proveniente da aziende messinesi che avevano dato a Proto la propria disponibilità a sostenerlo, frenando, ovviamente, quella “normalizzazione” declamata come parola chiave del nuovo corso in seno all’Acr.
In una situazione normale, le forze economiche della città, desiderose di entrare nel calcio, cercherebbero qualcuno disposto a intestarsi l’opera di risanamento finanziario della squadra, un soggetto in possesso delle competenze indispensabili per gestire una impresa sportiva sotto tutti gli aspetti, consentendo loro di dare il proprio apporto senza cimentarsi direttamente in un lavoro complesso quale sicuramente è mettere in piedi un meccanismo delicato e particolare come la società di calcio. La visibilità e la possibilità di ottenere vantaggi per la propria attività potrebbero essere ottenuti, dagli imprenditori-finanziatori, attraverso mezzi da concordare con chi si occuperebbe della vita quotidiana e del management dell’azienda calcistica.
E’ il modello-Aliotta, applicato a Messina nel 1997, dopo il vittorioso campionato di Eccellenza, con la trasformazione della US Peloro, rinata due anni prima, in FC Peloro Messina e il progressivo avvicinarsi di un gruppo di imprenditori-sostenitori che consentì al gioielliere rimasto nel cuore dei tifosi giallorossi di condurre una favolosa cavalcata fino alla serie B e al passaggio di consegne a favore del più grosso gruppo privato aziendale messinese nel luglio 2002. Era Aliotta a svolgere magistralmente il ruolo di mediatore e stimolatore delle anime che mettevano la benzina nel motore giallorosso, costuendo e mantenendo unito quel gruppo di lavoro capace di creare le condizioni per una clamorosa cavalcata che coinvolse tutta la città.
Altri tempi, altri uomini, altre disponibilità, sicuramente, ma quel ciclo vincente venne reso possibile solo dalla concomitanza di interessi convergenti sul calcio da parte di imprenditori che, prima di allora, non sapevano nemmeno se il pallone fosse tondo o quadrato. La crisi attuale nasce da una serie di eventi indipendenti dal calcio, ma che hanno portato a decisioni distruttive per il fenomeno sociale, economico e sportivo connesso al Messina. La seconda retrocessione sul campo dalla serie A ha innescato un meccanismo perverso che ha portato, in un decennio, a produrre un fallimento e, poi, il susseguirsi di gestioni paradossali, o da magliari o troppo fredde oppure, nella migliore delle ipotesi, allegre, senza mai coinvolgere realmente la massa dei tifosi, in una piazza che stenta a trovare un motivo di identificazione. Quello stesso meccanismo psicologico e comportamentale che porta la città a lasciare morte o infruttifere intere zone di territorio, come la zona falcata, ad esempio, ma anche la Fiera, per interi decenni, pur di non creare opportunità per altri soggetti o cittadini che vorrebbero intraprendere qualcosa.
Ecco, quindi, che il progetto di riqualificazione del “Celeste” per far rinascere una struttura storica cittadina e dare al Messina uno scenario dimensionato alla sua attuale realtà sportiva, con la possibilità di utilizzarlo anche in B, viene dipinto da altri messinesi a tinte fosche prima ancora che si conosca il contenuto del progetto e sia stato avviato l’iter per arrivare alla sua realizzazione. Si paventa la soluzione del “fallimento” per costituire una nuova società, senza debiti, magari ottenendo la serie D e ricominciando con le solite “cordate” pronte a far rinascere il calcio messinese, dopo avere ottenuto la salvezza in LegaPro sul campo, dimenticandosi quanto già vissuto a queste latitudini due volte in venticinque anni, cioè ben 10 tornei di D in totale prima di ritornare nel calcio professionistico e ritrovarsi, a distanza di poco tempo, al punto di partenza.
Il gioco dell’oca, però, può andare bene in età infantile. Adesso, sarebbe anche l’ora, dopo 117 anni in cui si fa calcio a Messina, di "tornare grandi". In tutti i sensi.
Franco Proto e il suo gruppo in questi mesi hanno fatto il massimo per avviare un percorso di ricostruzione, pensare oggi che sia tutto fallito per un passaggio a vuoto sarebbe quantomeno paradossale. Chi ama il Messina, per costituzione, o per difetto, secondo i punti di vista, non molla mai e risponderà presente, a prescindere da qualsiasi condizione.
Autore: MNP Redazione / Twitter: @menelpallone
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