Il destino del tifoso messinese è strano. Difficile, storicamente, che possa godersi pienamente una gioia calcistica, tranne rarissimi casi. Nel 2001, la tragedia di Tonino Currò a rendere amara la promozione in B con vittoria ai playoff contro il Catania, poi il settimo posto in A seguito dalla temporanea esclusione dal campionato, infine la lunga traversata nel deserto dopo la non iscrizione in B, ripartendo dalla quinta serie, scelta deliberata da parte del gruppo imprenditoriale titolare del Messina nell’estate 2008. Proprio quest’ultima decisione è stata la cesura ancora non sanata tra la città e la propria squadra di calcio, perché qualsiasi risultato sportivo negativo può essere tollerato, ma abbandonare quanto conquistato sul campo perché si è deciso di “non mettere più un euro” rende la passione verso i propri colori calcistici una merce totalmente in mano al padrone di turno e la credibilità di tutto il fenomeno sportivo e sociale va a farsi strabenedire.

Da quel momento, nessuno è più riuscito a fare riavvicinare totalmente i messinesi al Messina, se non in momenti sporadici legati a una festa promozione e all’evento del derby col Catania del 2015, unicum frutto di coincidenze mediatico pubblicitarie con un effimero primo posto in classifica nella serie C di allora. Tutta questa premessa per affermare, dal nostro punto di vista con sicurezza, che la disaffezione nei confronti del Messina non dipende solo dalle mancanze o dagli errori di Pietro Sciotto da Gualtieri Sicaminò, ma ha delle radici profonde e, quindi, non scomparirà magicamente se l’attuale proprietario dell’Acr dovesse decidere di abbandonare la nave, oppure, ancora peggio, se si ripetessero gli eventi, prima citati, del 2008. A cosa porterà questo  muro contro muro? A nulla di buono, speriamo non all’ennesima scomparsa del calcio messinese dalla scena professionistica, in un ambiente troppo avvelenato da potere apprezzare la parte più esaltante di questo sport. In cui una parte dei tifosi, quelli organizzati, che vanno in trasferta e seguono il Messina da una vita, danno tutto e contestano, dall'altra una proprietà che spende (e talvolta, spesso, sbaglia) vorrebbe vedersi riconosciuta la bontà dei propri sforzi.

Servirebbe una reazione concreta da parte degli altri che non siano i contestatori e il contestato, ma presentando una alternativa seria a questa situazione insostenibile, un vero e proprio circolo vizioso autoalimentato da oltre 15 anni senza nessuna soluzione, pur cambiando i protagonisti, almeno quelli con la veste di presidente.

C'è amarezza anche in noi, chiamati a commentare queste vicende e, invece, desideravano parlare solo della partita di ieri, con il Messina vittorioso sull’Avellino dopo una prova di grandissimo spessore da parte dei ragazzi in maglia biancoscudata, guidati in panchina da un monumentale Ezio Raciti (voto 8), che non sarà Guardiola, e nemmeno Mourinho, ma ha la capacità di farti parlare di nuovo solo di gioco durante i 90’ oltre al recupero, senza appellarsi a strane teorie o alchimie. Poi, ci vuole anche un po’ di aiuto da parte della fortuna, ma, senza cuore e testa, con altre parti del corpo si possono fare solo rumori molesti. Il tecnico parte con uno schieramento molto vintage, con quattro stopper, come si sarebbe detto negli anni '70, soffre per 20’ la pressione dell’Avellino, ma il Messina ne esce vivo grazie alle prodezze di un signore nato nel 1982, l’anno in cui Paolo Rossi vinceva il Mundial spagnolo, Ermanno Fumagalli bergamasco di Treviglio professione portiere, voto di ieri 8, solo perché 10 sarebbe stato esagerato e lui sta tra i pali per parare. Ma ieri, al “Franco Scoglio”, era una di quelle partite in cui gli avversari non avrebbero segnato mai. E Fumagalli, fino ad oggi, il suo lavoro, dentro e fuori dal campo, lo sta facendo in modo egregio, contribuendo a creare un gruppo che dovrà centrare la salvezza, partendo praticamente da sotto zero. Allo stesso livello dell’estremo difensore, in una ipotetica scala dei valori nel match contro gli irpini, stanno Ibou Balde (8) e Andrea Mallamo (8). Lo spagnolo è totalmente trasformato dall’arrivo di Raciti, diventando trascinatore e finalizzatore dopo una stagione e mezzo passata tra tantissime ombre e pochissimi lampi. Certo, il primo gol viene grazie alla deviazione di un avversario, ma la ferocia con cui scaraventa alle spalle di Marcone il pallone del raddoppio merita la standing ovation tributatagli dall’incredulo e infreddolito pubblico presente sugli spalti del San Filippo. Il centrocampista classe 2002 è già diventato uno dei pupilli del mister, che lo dipinge con parole al miele vantando la sua totale disponibilità verso il gruppo e l’attitudine maniacale al lavoro. I frutti si vedono in campo, quando giganteggia, seppure con la sua aria da bambino, in quella che, una volta, si chiamava zona nevralgica del campo, sradicando palloni da distribuire sempre con sagacia e tempismo. E’ lui il regista di questo Messina, gli auguriamo sia solo una delle tappe di una carriera importante.

Il resto della squadra sfodera una prestazione da 7 e mezzo pieno, senza distinzione. Trasciani soffre nel primo tempo a sinistra contro la coppia Kanoute-Rizzo che lo mette in mezzo più volte, ma non molla mai e poi fa il suo a destra durante la ripresa, quando serve fare soprattutto muro e provare a mettere qualche pallone lungolinea per fare respirare la squadra. Il suo compagno sulle corsie opposte, Berto, si disimpegna con discreta disinvoltura, ma in quel campo e con quel livello di avversari, già non avere fatto errori è un grande merito. Ottimi anche i due centrali di giornata, con Ferrara pilastro insuperabile sia sulle palle alte che quando si tratta di spazzare e Ferrini, gettato nella mischia quando si parla di tagli e nuovi arrivi proprio nel suo ruolo, che risponde alla grande sbagliando quasi nulla. A centrocampo, oltre a super Mallamo, c’è un pimpante Fofana, tacciato da qualcuno di “potere fare solo atletica” e, invece, tornato a suo agio nelle tonnare a centrocampo, incurante del fango o di qualche svarione nei passaggi, subito recuperato con generosità e precisione. Di grande generosità e spessore anche la partita di Catania e Kragl, instancabile e incisivo il primo, essenziale il tedesco, prontissimo a mulinare il sinistro e penalizzato da un offside inesistente nel primo tempo, quando era lanciato a rete per un raddoppio segnato già a gioco fermo. Infine, per completare l’undici iniziale, l’omino di acciaio Perez, sempre in moto e pronto a far dannare il diretto marcatore, difendendo la palla, facendo respirare la squadra e creando spazi per gli inserimenti, oltre a confezionare l’assist per Balde sull’ 1-0.
Last but not least, ecco i cosiddetti panchinari, fino a dicembre impalpabili adesso diventati indispensabili. Marino, Konate, Iannone, Fiorani e Zuppel, con minutaggio diverso, meritano tutti un 6,5, perché non era facile mantenere equilibrata la squadra durante le sfuriate biancoverdi per tentare la rimonta e tutti loro, seppure con apporto diverso, ci sono riusciti. Questo il commento a quanto successo in campo. Per tutto quello che è accaduto dopo, c’è solo da sperare che la notte abbia portato consiglio e nulla possa impedire a questo piccolo, iniziale, ma molto promettente nucleo di squadra che sta diventando il Messina di potere crescere bene, e, magari, da questo momento di grande rabbia, possa nascere qualcosa di diverso e davvero forte che dia di nuovo fuoco a quella antica passione verso la biancoscudata, al di là della retorica e delle banalità un patrimonio di tutti quelli che realmente la amano, sempre. Un patrimonio di tutti, che, in questo momento, non può prescindere dal presidente Sciotto, ma che deve essere custodito e preservato dalla squadra in campo, insieme allo staff tecnico, dai dirigenti e da tutta la struttura interna, così come dai tifosi e, per quello che è possibile, dalla stampa. Non è questo il tempo dei contrasti.

Sezione: Il focus / Data: Lun 23 gennaio 2023 alle 10:30
Autore: Davide Mangiapane / Twitter: @davidemangiapa
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