Che l'espulsione di Ciro Foggia, in un pomeriggio piovoso d'autunno, potesse essere la svolta del campionato dell'Acr Messina, lo avevano capito in due: Raffaele Novelli, a cui va dato atto di averlo sempre ribadito, e Sergio Sabatino, glaciale nel commentare il pari interno con la Gelbison in sala stampa. Di fronte a lui un drappello di giornalisti cercava di trovare il bandalo di una matassa oggettivamente difficile da sbrogliare. I campani giunti al Franco Scoglio erano sembrati poca cosa, nonostante ciò avevano avuto il merito di trovarsi due volte in vantaggio e di strappare un punto per nulla rubato. Squadra operaia, niente di più e la sensazione diffusa di aver perso l'ennesima occasione per strada e di dover salutare con i soliti mesi d'anticipo ogni idea di promozione. Un Messina bello e sprecone raccoglieva meno di quanto seminato, mentre le altre, pur non brillando, iniziavano a scavare un solco, illudendosi che sarebbe bastato per arginare l'eventuale rimonta dei biancoscudati.
Non sarà così perché da quel momento Arcidiacono e compagni cambieranno passo, inanellando successi in serie e vincendo con identica semplicità in trasferta e fra le mure amiche. A gennaio, alla decima giornata, l'Acr Messina è già primo, battezzando una posizione di classifica che, al netto di passi falsi e stop imposti dalla pandemia, non sarebbe più mutata. Aver evitato il Covid è stato forse il successo più grande di una formazione a cui Aliperta ha infuso personalità e consapevolezza, Lomasto e Sabatino un'armatura difficile da scalfire. La verve sugli esterni di Cascione e Giofré, almeno finché gli infortuni gli hanno permesso di giocare con continuità, è stata il fosforo giovane a cui spesso si fa riferimento, ma che altrettanto di frequente è difficile rintracciare. Cristiani, Lavrendi e Arcidiacono, poi, hanno vestito i panni di coloro a cui è toccato il compito di trasmettere attaccamento e senso d'appartenenza, pienamente recepito da un gruppo che ha abituato i tifosi a vincere in campo, cantare e ballare fuori.
Ogni analisi, tuttavia, non può prescindere da chi dietro le quinte ha tessuto la tela. Se Pietro Sciotto aveva una ferita da ricucire con una piazza stanca di promesse sbandierate e sistematicamente disattese, Cocchino D'Eboli doveva dimostrare di essere ancora un grande conoscitore di calcio. E, al di là di una squadra costruita con meticolosa accortezza, due, su tutti, rimangono i capolavori del direttore. Il primo è stato portare in riva allo Stretto Leonardo Caruso, non curandosi troppo di quanti gli hanno accollato, senza eccessivo torto, metodi rivedibili. La prestazione di Lai in casa del Marina di Ragusa è bastata a farlo saltare sulla sedia. Un campanello d'allarme che se ignorato, col senno di poi, si sarebbe potuto rivelare fatale. Lo stesso, per esempio non è stato fatto con uguale tempismo in casa Football Club, di fronte al lungo stop di Caballero e all'improvvisa partenza di Barcos. L'altra mossa decisiva è legata all'approdo di Cunzi. La zanzara ha regalato ulteriore profondità a un organico che in quel momento sembrava completo, ma che appena qualche giorno dopo, in seguito all'infortunio di Addessi, avrebbe palesato evidenti carenze senza l'acquisto dell'attaccante.
Il sipario, infine, è calato a marzo: sette punti in tre partite negli scontri diretti con Acireale, Fc e Gelbison non solo hanno mantenuto gli avversari a distanza di sicurezza, ma hanno offerto una dimostrazione di forza rara, utile a sgretolare le consapevolezze di chi non ha mostrato la stessa solidità, fisica e mentale. Da lì, qualche passo falso c'è stato, a cui gli altri, però, non sono stati in grado di rispondere per le rime. Le interruzioni continue, le incognite crescenti sulla fine della stagione hanno solo prolungato l'agonia di una festa che aspettava esclusivamente la matematica per esplodere. Sant'Agata è stata il luogo del giubilo, l'augurio è che rimanga check point intermedio di un viaggio in cui l'orizzonte ancora non si vede.
Autore: MNP Redazione / Twitter: @menelpallone
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