Campionati sospesi almeno fino al 3 aprile, con la concreta possibilità che le ultime otto giornate non vengano disputate, cristallizzando i verdetti sportivi al 1 marzo. Questo uno degli effetti più lievi dell'emergenza COVID-19, che sta stravolgendo le abitudini di vita degli italiani, abitanti del secondo Paese al mondo per numero di contagiati dopo la Cina, primo focolaio di questa epidemia. Di fronte alle situazioni gravi che ci vedremo impegnati a fronteggiare nelle prossime settimane, parlare di questioni calcistiche serve solo a distrarci un po' e, in questa ottica, esaminare in modo approfondito le vicende dell'Acr Messina potrebbe impegnare molto tempo reso libero dalla necessità di limitare la propria vita sociale in questo particolare momento.
La classifica vede i biancoscudati all'ottavo posto, con 36 punti, a dieci lunghezze di distacco dalla coppia Troina-Football Club, appaiate in quarta e quinta posizione, e con un rassicurante +8 sulla zona playout. Bilancio deludente per chi, alla vigilia, puntava a duellare fino al termine con la corazzata Palermo, ma in linea con quanto raccolto nella stagione 2017-2018 alla 9^ di ritorno, quando il Messina guidato da Giacomo Modica aveva un punto in meno rispetto a quello attuale ed era reduce dalla sconfitta netta per 2-0 sul campo della Vibonese, capolinea delle ultime speranze di aggancio della zona playoff, vera e propria chimera per la proprietà Sciotto, allora come oggi. Guardando solo ai freddi numeri, quindi, ci sarebbero state le premesse per migliorare quel sesto posto con 53 punti finali colto dalla squadra rimasta nella mente dei tifosi peloritani come un grande rimpianto, visto che, nell'immaginario collettivo, la mancata conferma di mister Modica e del gruppo di calciatori cementato in quella stagione ricade tra le maggiori responsabilità addebitate al patron biancoscudato in quasi tre anni di gestione.
Il rosario delle recriminazioni contiene tanti altri errori snocciolati quasi giornalmente su tutti i media e nei social, ma, distaccandosi un attimo da una visione troppo emotiva, l'identificazione della famiglia Sciotto come unica causa della prolungata crisi calcistica messinese appare un capro espiatorio troppo comodo per rimandare l'identificazione di tutte le cause che hanno portato a 9 campionati sugli ultimi 13 disputati da squadre cittadine in serie D con tre matricole FIGC diverse (FC Messina/Acr Messina/Città di Messina), sei denominazioni differenti (FC Messina Peloro, Ac Rinascita, Ac Rilancio, Ac Riunite, Città di Messina, Football Club Messina).
Un caos continuo in cui si sono alternati 16 presidenti che riepiloghiamo giusto per averne memoria: Franza, Cataldo, Di Lullo, Di Mascio, Santarelli, Martorano, Manfredi, Torrisi, Lo Monaco, Stracuzzi, Oliveri, Proto, Pietro Sciotto, Paolo Sciotto/Lore, Pietro Sciotto/Arena.
Tra questi, solo Torrisi, durante la gestione Lo Monaco, nel 2013 è riuscito a vincere in serie D, mentre il massimo risultato sportivo è stato raggiunto con il settimo posto in Lega Pro nel 2016, in un torneo in seguito sotto indagine non solo da parte della Procura Sportiva.
Se dovessimo, poi, aggiungere tutti i nomi di coloro i quali sono stati indicati come possibili "salvatori" del calcio a Messina in questi ultimi 12 anni, allora la lista diventerebbe fitta come una pagina dell'elenco telefonico di New York.
Si potrebbe anche fare riferimento alla teoria dei corsi e ricorsi storici, magari andando a rivedere, su Youtube, la registrazione di una trasmissione su Teletime, datata 1993 . Nella telefonata di quel tifoso, raccolta dai colleghi Manzo e Pensavalli, si possono ritrovare tante motivazioni ricorrenti nei momenti neri per il calcio messinese.
Quali possono essere le soluzioni?
Coinvolgere i pochi imprenditori strutturati del territorio, come avvenne nel 1997 con la Peloro di Aliotta che scalò le categorie e arrivò in serie A sotto la guida del Gruppo Franza? Mancano le personalità carismatiche che allora quasi "costrinsero" al coinvolgimento i protagonisti di quel periodo.
Attrarre investitori esterni al tessuto cittadino, magari attraverso la concessione pluriennale dello stadio? Sarebbe un caso unico nel panorama mondiale, dove sono le società calcistiche a gestire gli impianti per ricavare reddito attraverso il loro utilizzo durante la stagione e non solo ricavando da eventi episodici o lontani dalla pratica sportiva.
Sperare nella fortuna che consenta di scalare le categorie senza grossi impegni finanziari, ma confidando in operazioni speculative legate a particolari situazioni? I casi di repentine salite e fulminei crolli o fughe improvvise hanno riempito le cronache sportive e giudiziarie italiane negli ultimi anni, con decine e decine di fallimenti dopo voli pindarici e sontuosi progetti.
Nessuno può affermare, al momento, di possedere la formula magica per riaccendere la macchina dell'entusiasmo verso il calcio che fece, in passato, della nostra città una delle piazze più calde e ambite nel nostro Paese, almeno in campo sportivo.
Un primo passo, importante, potrebbe essere quello di prendere consapevolezza delle risorse attuali, senza ancorarsi ai fasti del passato, ma partendo dalla realtà che è quella del campionato di serie D.
Poi, una tregua rispetto alle faide da paesino, alle invidie da cortile e ai dispetti tra comari sarebbe di aiuto per pensare, prima di tutto, a costruire un futuro su basi concrete e non su illusioni o presunzioni di onnipotenza o, peggio ancora, senza fare tesoro di quanto vissuto in questi ultimi anni.
Perché, senza appartenenza o autentica vicinanza, non si può dire di essere una comunità, a partire dalle questioni più serie, come quelle che stiamo vivendo in questi giorni, fino alle cose leggere, ma comunque con una loro importanza sociale, come il calcio.
Autore: Davide Mangiapane / Twitter: @davidemangiapa
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