Non si fermano i riconoscimenti alla memoria di Franco Scoglio, allenatore filosofo dall’aforisma originale e immediato. Dopo l’intitolazione dello stadio di Messina, infatti, la città di Reggio Calabria ha dedicato, alla presenza di istituzioni e rappresentanti del mondo dello sport, una via all’allenatore nativo di Lipari. Da ieri pomeriggio, la “via Stadio a monte traversa prima” è diventata, ufficialmente, “via Franco Scoglio”.
Dopo un impianto di quarantamila posti e un albo a fumetti della Sergio Bonelli editore (potete cliccare qui per vedere il “Professore” impegnato a combattere i vampiri), il mister eoliano, scomparso nell’ottobre del 2005, sarà eternato anche dalla toponomastica di Reggio Calabria, città nella quale ha allenato nelle stagioni 1978/79 e 1982/83.
A quasi quindici anni dalla sua scomparsa, Scoglio continua a vivere nella memoria di tutti coloro che hanno avuto la fortuna di incontrarlo o di assistere alle sue interviste. Ruvido e profondo, come l’essenza della sua terra, l’allenatore eoliano trasformava ogni suo concetto in un’esperienza di vita. Godeva, infatti, nel voluttuoso spaesamento che poteva indurre nell’interlocutore con un suo veloce orpello dialettico. La sua laurea in pedagogia, conseguita grazie alla sua grande passione per l’insegnamento, ha fatto di lui una guida completa, prima che un semplice allenatore.
Ed ecco che, come per un incanto mediatico ante litteram, Franco Scoglio è entrato prepotentemente nel linguaggio social-popolare che, dopo molti anni, usa ancora i suoi neologismi come ad minchiam, tripallico e zona sporca. Inutile citare, invece, i suoi mille aforismi o le sue teorie calcistiche tra le quali, come i più attenti ricorderanno, la più nota è quella sui “ventun modi per battere un calcio d’angolo”.
Con ben sedici squadre allenate e due nazionali guidate, l’insegnante partito da Lipari è riuscito ad applicare in maniera sistemica il suo credo e la sua sviscerata conoscenza dell’uomo. I ragazzi che decideva di allenare, infatti, venivano scelti accuratamente in virtù delle qualità tecniche e umane che potevano adattarsi all’ambiente nel quale lavorava. Impossibile nascondere, però, che il suo capolavoro professionale è giunto a pochi chilometri dal suo arcipelago. Tra il 1984 e il 1988, infatti, plasmò un gruppo di ragazzi, da lui chiamati "i miei bastardi", che permise al Messina di conquistare una promozione in B e di sfiorarne una in massima serie.
Ci guardiamo bene dal promuovere la retorica spicciola ma, probabilmente, nessuno storcerà il naso nel leggere che, il calcio di oggi, avrebbe un immenso bisogno di ritrovare personaggi come il Professore...giusto per evitare di diventare uno spettacolo ad minchiam.
Autore: Marco Boncoddo / Twitter: @menelpallone
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