Acr, Associazione Calcio Riuniti: la sigla lascerebbe subito pensare al Messina, quello della storica serie A o quello che, negli ultimi anni, ha riutilizzato (pur con significati diversi), il famoso acronimo. E, invece, spostandoci in provincia, un’altra società viene ricordata con la stessa denominazione, l’Associazione Calcio Riuniti Sant’Agata, che tra anni ’70 e ’90 ottenne grandi risultati e conquistò il salto in Interregionale (attuale serie D) che resta il punto più alto finora ottenuto da una compagine del centro tirrenico.
La storia della società biancoazzurra inizia nel 1973, quando un gruppo di appassionati sportivi, dopo aver tentato di entrare nell’allora Folgore, decide di fondare una nuova società e parte dalla Terza categoria: “Da lì cominciò una incredibile scalata fino alla Promozione, che allora era il massimo campionato dilettantistico”, ha raccontato Guido Schillaci, direttore sportivo del club presieduto da Antonio Triglia. Non esisteva ancora l’Eccellenza e l’approdo in Promozione nella stagione 82/83 fu un traguardo importante per una realtà nuova ma con un progetto serio, con attenzione alla prima squadra e al settore giovanile.
“Il primo anno da matricola lo cominciammo male, altrimenti avremmo anche sfidato il Ragusa in vetta. L’anno successivo eravamo primi, ma una serie di infortuni dei nostri attaccanti, tutti molto forti, ci penalizzarono. Nino Micalizzi, la nostra punta di diamante, era stato anche acquistato dal Messina in serie C – ha ricordato Schillaci – ma un infortunio in un’amichevole proprio al Celeste per sancire il passaggio bloccò tutto. Quando il Messina non riuscì più a prendere Micalizzi acquisto Totò Schillaci”.
Eventi che cambiarono il destino di calciatori e società. Ma la storia dell’Acr S.Agata, pur tra buoni campionati, prosegue grazie alla passione e impegno di Triglia, Schillaci e pochi altri finanziatori. Dopo la scomparsa del ds Franco Castano fu proprio Guido Schillaci (dal settore giovanile) a ricoprirne il ruolo con una visione diversa: “Non prendevamo mai giocatori famosi o di categorie superiori ma dalla Prima o Seconda o dalla juniores. Cominciai una politica della “cantera ante litteram” – ha spiegato Schillaci -. Gli allenatori, per contratto, dovevano allenare anche l’under 18 perché che era l’unico modo di poter davvero conoscere i ragazzi”.
Fu proprio questa politica, dopo anni difficili e incomprensioni interne, che premiò gli sforzi degli storici dirigenti: “Nella stagione 90-91, riuscì a vendere i giocatori più importanti, inserì diversi juniores e ragazzi dalle categorie inferiori e, guidati da mister Salvatore Borgia, vincemmo il campionato”. Fu una vera impresa, anche perché l’arrivo in Interregionale passò, non solo da un campionato avvincente, ma anche da due spareggi. Acr S.Agata e Aci S.Antonio chiusero il torneo in vetta con 41 punti e giocarono uno spareggio al “Celeste” e poi in campo neutro con l’Alcamo, vincitore del girone A: “La partita contro l’Aci S.Antonio fu incredibile. A loro diedero alcuni punti a tavolino poco dopo la fine del campionato e noi, che eravamo già proiettati allo spareggio con l’Alcamo, abbiamo dovuto giocare un’altra gara. Era il maggio del 1991: fu una sfida equilibrata e decisa dai due gol di Piero Mancuso”. Il primo atto sorrise ai biancoazzurri che, in realtà, per l’occasione indossarono una maglia giallorossa: “È un cimelio – ha sottolineato Schillaci -. Poi ci fu lo spareggio con l’Alcamo, una gara da Davide contro Golia perché loro erano una squadra da sogno e per preparare quella partita fecero pure una settimana di ritiro ad Agrigento, mentre noi arrivammo solo la mattina. Nel primo tempo l’Alcamo ci mise sotto ma, pur senza lo squalificato Mancuso, fu Leone Scaffidi a portarci in vantaggio nel primo tempo. Nella ripresa l’Alcamo scomparve, non riuscì ad attaccare, noi sfiorammo il 2-0 più volte e lo segnò Carlo Russo con un eurogol”.
L’Acr S.Agata coronò così una stagione indimenticabile e raggiunse l’Interregionale che, però, disputò solo un anno. Le sei retrocessioni previste (furono gli anni della riforma dei campionati e la creazione dell’Eccellenza) condannarono i tirrenici. Un’apparizione breve ma resta il punto più alto per la società e per tutto il paese. Seguirono buoni campionati di Eccellenza, ma la stanchezza si cominciò a far sentire: “Il Comune ci impose una fusione con le altre squadre di Sant’Agata (Folgore e Agatese). Eravamo stanchi, molta gente remava contro e Triglia decise di fermarsi, lasciò la direzione e quella fusione si rivelò un colpo di stato perché gli altri dirigenti cambiarono tutto, ci misero fuori e smantellarono anche il settore giovanile”.
L’Acr andava verso la fine, ma i ricordi di Schillaci e di tutti i protagonisti restano vivi: “Con budget ridotti disputavamo sempre buoni campionati e il Sant’Agata era sempre uno spauracchio. Per nove anni siamo rimasti imbattuti in casa e, due anni prima della promozione, il portiere Pippo Siracusano di brolo restò imbattuto per oltre 2 mila minuti”.
La nuova società frutto della fusione durò pochi anni e così ancora Schillaci prese in mano la situazione, riuscì a iscrivere la squadra in Prima categoria e arrivare in Promozione, prima del suo addio al calcio nel 2004: “Ci sono stati alti e bassi e poi è venuta questa nuova generazione di imprenditori che sta lavorando seriamente. Il Città di S.Agata attuale è un po’ l’eredità di quella squadra che ho rifondato. Gli auguro di arrivare in serie D, perché lavorano bene e hanno anche un buon seguito, mentre quell’Acr era spesso denigrato e aveva pochi sinceri tifosi, ad eccezione dell’anno della promozione”.
È un traguardo possibile? Si riprenderà a giocare? “Pagano lo sciagurato errore che gli è costato tre punti a tavolino (contro il Mascalucia), ma hanno una squadra formidabile e giocatori impressionanti. Non hanno badato a spese. Ora è giusto pensare prima a vincere il virus, perché è pericoloso e, quindi, riprendere solo dopo averlo debellato. Non si può dire come andrà a finire, ma credo – ha concluso Schillaci – che il Città di S.Agata possa arrivare in D sul campo o tramite ripescaggi che saranno tantissimi”.
E a quel punto la storia sarà riscritta e l’eredità dell’Acr sarà davvero raccolta da una nuova ambiziosa società.
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