Io c’ero in curva quel 21 dicembre 2005 quando Cozza segnò il pareggio nel derby portandosi le mani alle orecchie e sfidando la Sud. Ci sta, in fondo è il sale delle rivalità sportive e voler colpire il nemico (sempre sportivo, s’intende) è quello che una bandiera o un capitano sogna di fare. Alla tifoseria avversaria non piacerà mai e risponderà con un coro o con i fischi. Ci sta, è il gioco delle parti.
Cozza, poi, quel gesto lo ha ripetuto una decina di mesi dopo, rincarando la dose. Ha cambiato maglia, gioca a Siena e segna il 3-1 in pieno recupero, si gira verso il settore ospiti, indica il proprio nome sulla maglia e porta le mani alle orecchie. Ma non solo, perché qualche altro gesto poco simpatico resta impresso nelle menti dei tifosi messinesi. Non ci si è mai amati, non potrebbe essere altrimenti e forse ci si è anche poco rispettati e questo è strano anche nelle fortissime rivalità che si basano, però, su principi altrettanto solidi.
Poi, però, si arriva a quelle dichiarazioni post partita di domenica, che hanno dentro anche parecchio risentimento e forse sono collegabili a quanto accaduto nell’estate 2018. Sciotto sceglie Cozza, che due anni prima aveva vinto il campionato con la Sicula Leonzio, come allenatore del suo Messina, ma dopo pochi giorni fa marcia indietro, probabilmente spinto anche dalla forte contestazione della tifoseria organizzata. Legittima, perché l’appartenenza reggina dichiarata ed evidente di Cozza non può essere messa in discussione e la dignità di una piazza, per quanto oltraggiata e vessata, non può mai passare in secondo piano. Mai. Equilibri sottili che, al tempo stesso, non dovrebbero mai sfociare nel rancore personale, esploso invece con una scusa nella sala stampa dello Scoglio e che hanno fatto passare in secondo anche quel "Messina merita altre categorie" che non è affatto di facciata.
Oggi, giorno in cui festeggia il suo 47esimo compleanno, forse Cozza avrà il tempo per riflettere su quelle stesse dichiarazioni tanto avventate quanto fuori luogo. La “parola” in campo scappa spesso, ma, senza voler giustificare la gravità dell’offesa, lì deve restare, lo insegna quella regola non scritta del calcio. E non perché il campo sia un ring nel quale non esistono regole, perché non è il Fight club. E questo dovrebbe saperlo soprattutto chi ha giocato quasi 400 partite tra Serie A e B e allenato in C e D in più di 200 occasioni. Educazione e rispetto sono belle parole, presenti sulla bocca di molti, ma nei fatti di pochi. E poi, sfiorando la retorica, il calcio in questo momento dovrebbe rappresentare solo un momento di svago, di gioia e libertà. Di casini in giro ce ne sono talmente tanti, ché non è il caso di aggiungerne altri. Specie se puerili.
Buon compleanno mister Cozza, ci vediamo al ritorno all’Alvaro di San Luca. E non è una minaccia.
Autore: Antonio Billè / Twitter: @antobille
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