La notizia arriva nella serata di ieri: è morto Alfredo Ballarò. Nato il 2 gennaio 1943 a Reggio Calabria, viveva da tanti anni a Torre del Greco, nella città in cui aveva trascorso un periodo significativo della sua carriera da calciatore vestendo la maglia corallina della Turris dal 1967 al 1970, sedendo anche in panchina nel 1983-84 e nel 1999-2000. Come allenatore, operò prevalentemente in Campania, tra serie D e C2, oltre che nella Turris, alla Gurmese, Terzigno, Gladiator, Ercolanese, Frattese, Nola, Cavese, Portici, Battipagliese e Marcianise, ma il tecnico calabrese, anche docente artistico nelle scuole medie, appassionato d’arte e pittore, lega indissolubilmente il suo nome alla promozione del Messina in serie C1, ottenuta al termine della stagione 1982-83.
È l’occasione, purtroppo triste, per ricordare un periodo particolarmente significativo della storia calcistica nella nostra città, iniziata 123 anni fa, ma densa di momenti intensi, seppur non sempre gloriosi, dal punto di vista dei risultati sportivi. Lo avevamo fatto qualche settimana fa, in occasione della scomparsa di Lamberto Sapone, adesso ci tocca ripeterci per ricordare Alfredo Ballarò, partendo proprio dalle due annate agonistiche in cui sedette sulla panchina dell’Acr. Una società che viveva un momento di difficoltà, dopo alcuni campionati in C2 non proprio esaltanti, fatti di salvezze all’ultima giornata, tantissimi cambi di allenatore e diversi presidenti rappresentanti compagini societarie composite. Ballarò approda a Messina nell’estate del 1981, assunto da Michelangelo Alfano, eletto al vertice della società dopo Lamberto Sapone.
Della squadra che, l’anno precedente, aveva concluso al quartultimo posto, evitando il CND con un pareggio (1-1) a Brindisi, restarono solo i difensori Maglio e Nicolò Napoli, oltre all’attaccante Giobbio, cui venne affiancata una rosa con buone ambizioni di classifica, tra cui spiccavano il portiere Anellino, il roccioso mediano Franco Mondello, uno stopper longilineo dalle dignitose doti tecniche come Colaprete, il moto perpetuo del centrocampo Lenoci, ma soprattutto la talentuosissima mezzala Iannucci e la coppia di bomber Marescalco-Alivernini, vere volpi della categoria. L’inizio non proprio esaltante, dopo i proclami della vigilia che parlavano di serie B in due anni, costò l’esonero a Ballarò dopo 10 turni, gli subentrò il vulcanico Gennaro Rambone, napoletano trascinatore di folle con fama da sergente di ferro e tombeur de femme, ma anche con lui le cose non andarono benissimo e, alla 22^ giornata, fu il turno di Gianni Bonetti, ex calciatore biancoscudato, un vero signore in campo e fuori, forse troppo per quel gruppo di calciatori e, dopo appena tre turni, Alfredo Ballarò ritornò sulla sponda siciliana dello Stretto per condurre in porto, nelle ultime 10 partite del campionato, un dignitoso 6° posto, con 36 punti in 34 partite, seppure a sole 3 lunghezze di vantaggio dalla terzultima piazza che riportava tra i dilettanti.
Un risultato di rilievo, considerando il valzer di tecnici e anche alla guida societaria, dove si alternarono, dopo Alfano, Aliotta, Modello e Sapone. E, proprio quest’ultimo, sarà capace di trovare la sintesi a livello di gestione delle diverse anime che componevano il pacchetto azionario del Messina e fu quella l’annata giusta per centrare, dopo 5 anni di limbo in quarta serie, l’approdo in C1.
Per molti nati negli anni 60 quella fu la prima vera promozione da tifosi del Messina, visto che il ripescaggio nella neo costituita C2 alla fine del campionato di serie D 1977-78, concluso al 6° posto dietro Vittoria, Nuova Igea, Lamezia, Alcamo e Cosenza, non rientrava tra i trionfi da annoverare in bacheca. Una squadra granitica, che vinceva di misura in casa e perse solo 4 volte in trasferta (Agrigento, Grumo Nevano, Alcamo e Licata), in campi che, a quei tempi, definire caldi è un dolcissimo eufemismo.
La formazione è una cantilena, con i giocatori elencati secondo il numero di maglia: Rigamonti, Napoli, Pierini, Franco Mondello, Colaprete, Bellopede, Virgilio, Venditelli, Schillaci, Iannucci, Santino Mondello.
Alfredo Ballarò, in panchina, pesava il giusto, ma guidava la squadra con equilibrio e buon senso, avvalendosi dei sui fedelissimi in campo, come i fratelli Mondello. Forse questo suo carattere serio e riservato lo faceva appellare "melone senza semenza" (quindi poco gustoso o di qualità) da qualche tifoso particolarmente di palato fino, razza molto presente a Messina, in quell’epoca prevalentemente stanziata nella gradinata ancora in cemento armato e tavoloni e tubi innocenti.
Ma mister Ballarò rimane nel cuore di quei quasi ventimila che assieparono il “Celeste” sia nel derby contro il Siracusa, che nella sfida per il primato contro l’Akragas, quando Gianclaudio Iannucci, vestendo una inedita maglia a strisce giallorossa utilizzata dal Messina in qualche partita di quella stagione, con un sinistro pennellato su calcio di punizione, batté il portiere biancoazzurro Ritrovato e andò ad esultare arrampicandosi sulla rete di recinzione dei popolari lato Mare. Ballarò festeggiò senza esagerare, così come fece il giorno della promozione, dopo che il suo Messina, sempre in un "Celeste" stracolmo di gioia, batté il Frosinone 3-1.
Lo sguardo emozionato del mister durante una intervista su Rtp eseguita da Salvatore De Maria dopo qualche anno da quel trionfo sportivo, dice tanto su questo personaggio che ricalca un po' quelli tratteggiati dalla letteratura sportiva soprattutto sudamericana, che lo avrebbe definito un hombre vertical.
Grazie mister, che la terra ti sia lieve.
Autore: Davide Mangiapane / Twitter: @davidemangiapa
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