Dal campo alle corsie d’ospedale è stato un lampo. Al fronte i fucili appartengono a epoche lontane, sono sostituiti da camici e mascherine. La guerra del terzo millennio si combatte dentro pronto soccorso al collasso, contro un nemico invisibile, più ostico e meschino. Giovanni Cammaroto ha un trascorso da calciatore: oggi si è tolto scarpette e pantaloncini, senza troppi complimenti si è infilato tute e guanti. Non è bastato per evitare gli effetti collaterali della pandemia. Classe ’90 è infermiere a Carpi, Emilia Romagna, dove il Covid ha picchiato forte e le ferite rimangono istantanee impossibili da cancellare. “Facevamo il giro dei pazienti e li vedevi stare bene, poi tornavi e nel volgere di un paio d’ore non c’erano più. La gente muore sola ed è la parte peggiore di una storia terribile. Ci rendiamo conto di essere il loro unico supporto”.
Le responsabilità aumentano come i giorni in trincea. Giovanni adesso è nel reparto d’ortopedia, a marzo, invece, sorvegliava la prima linea. In situazioni al limite, lo spirito d’adattamento resta l’unica regola: “Ci si contagia in continuazione, quindi gli spostamenti del personale all’interno della struttura sono frequenti e per mantenere un servizio adeguato ci hanno bloccato persino le ferie. Durante il lockdown assistevo i “contatti”, coloro che erano stati vicino a un positivo, motivo per cui venivano monitorati e sottoposti a tampone. I tempi per analizzare i campioni erano lunghi e mancavano i dispositivi di protezione. Per scoprire se le persone avessero contratto il virus, passava oltre una settimana”.
Il Covid in un contesto del genere ha trovato terreno fertile, cogliendo tutti alla sprovvista, provocando conseguenze disastrose. Uno tsunami, capace di travolgere chiunque: “Lo scorso 30 ottobre anche io sono stato colpito. Una signora era risultata positiva, le ero stato vicino, così ho fatto l’esame. All’inizio non avevo sintomi, poi ho cominciato ad avvertire un grande senso di affaticamento, debolezza e dolore alle ossa. Per una settimana ho perso gusto e olfatto”. Una brutta avventura, di cui per fortuna Giovanni parla al passato: “Ho adottato il protocollo M, quello del professore Mondello e ci tengo particolarmente a ringraziarlo. La cura mi ha permesso di venirne fuori in poco e senza conseguenze, a differenza dei miei colleghi, ai quali sono toccati problemi più gravi”.
In attesa del via libera per tornare al lavoro, avvolge il nastro dei ricordi. Ci sono il Celeste pieno, la Serie D e le sliding doors di un racconto che avrebbe potuto scrivere pagine differenti: “Giocavo nel Città di Messina e le partite contro l’Acr ancora mi mettono i brividi. Mi allenavo al massimo, ma ero consapevole delle difficoltà di quel percorso, perciò non ho mai smesso di studiare. Mi laureai e la settimana dopo mi ruppi il ginocchio. Fu come un segno del destino: evidentemente la mia strada doveva essere un’altra”. Nessun rimpianto, solo emozioni: “In un derby di campionato venni espulso e fischiato dai tifosi della squadra per cui facevo il tifo, fu una sensazione strana, ma Giorgio Corona era stato più furbo. Un autentico fuoriclasse, aveva quaranta anni e mi domandavo come facesse a sfornare quelle prestazioni”.
Marina di Ragusa - Camaro 3-3: il gol di Cammaroto🛫 Giovanni Cammaroto vola e incorna la punizione di Alberto Mondello, segnando la rete del definitivo 3-3 in Marina di Ragusa - Camaro: ritorno al gol per il centrale difensivo neroverde
Pubblicato da SSD Camaro 1969 su Martedì 25 settembre 2018
Dolci pensieri in cui è bello naufragare, ma che attualmente sembrano distanti anni luce: “Non possiamo permetterci il lusso di una nuova impennata di casi. Il calcio è uno sport di contatto e purtroppo nelle categorie più basse è difficile garantire protocolli e condizioni di sicurezza. Fermarsi diventa l’unica soluzione, senza dimenticare gli atleti. In Eccellenza e Promozione ci sono padri che con i rimborsi spese mantengono famiglie”. Un messaggio chiaro, cui fa seguito un appello: “La vita non ha prezzo, comprendo i disagi di tutti, ma non bisogna mollare la presa. La battaglia è ancora lunga”.
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