Provare a fare un approfondimento su quanto visto, ma soprattutto vissuto, ieri pomeriggio al “Franco Scoglio” è un esercizio ardito, da affrontare solo lasciando andare i polpastrelli sui tasti e seguendo il flusso, con l’augurio che tutto abbia un proprio ordine.

MAGICAL MISTERY MATCH - Innanzitutto, definire “esperienza mistica” quei quasi 100 minuti passati tra il fischio iniziale e quei tre squilli finali emessi dal fischietto del signor Kevin Bonacina (a mente fredda, una gestione di gara da arbitro che probabilmente vedremo presto a livelli più alti) può dare una dimensione, forse esagerata, a chi non ha partecipato, sugli spalti o seguendo, in qualche parte del mondo, sui vari device disponibili, però, chi c’era, e tifava Messina, ma anche dalla parte opposta, ha visto “cose che voi umani….”.

La fredda cronaca, come avrebbe affermato quel personaggio di Antonio Albanese in “mai dire gol”, parla di un Messina nel primo tempo meno attanagliato dalla paura rispetto a quanto mostrato nelle ultime recite di regular season e soprattutto ad Agropoli, capace di creare almeno tre occasioni da gol attraverso manovre di buona fattura, non concretizzate per esitazioni al momento di battere a rete o per una bella parata di D’Agostino. Nel secondo tempo, invece, con il trascorrere dei minuti, emergeva l’ansia, la partita prendeva la piega preferita dalla Gelbison che, approfittando di una disposizione tattica sempre più squilibrata, prendeva campo costruendo diverse possibilità per passare in vantaggio, forte di una maggiore leggerezza mentale.

NINO IN THE SKY WITH DIAMONDS - Questo tipo di partita, però, dura circa 82’ perché poi si entra in un’altra dimensione, quella che ha fatto di questa pratica sportiva uno degli eventi più seguiti dal genere umano negli ultimi 100 anni, escludendo quel periodo tra la fine del 1800 e l’inizio del secolo scorso, in cui il football era argomento appannaggio degli inglesi che lo diffondevano in tutto il mondo. L’azione che porta al gol decisivo, il lampo capace di portare tutto su un altro piano di percezione collettiva, però, risponde ai canoni estetici del calcio come si intende nei manuali. Palla conquistata dagli uomini in maglia biancoscudata sulla tre quarti di attacco, sponda dell’attaccante a quel calciatore una volta chiamato ala, appoggio in corridoio ad un terzino fluidificante mancino, controllo (le immagini diranno con la mano, ma il Var non è stato introdotto nei playout di C) e cross immediato verso il cuore dell’area, dove si avventa l’attaccante che anticipa l’avversario e scaraventa il pallone in rete. Quello che accade da quel momento in poi, ogni persona presente lo racconterà in un modo diverso, ma sono 15 minuti di assoluta irrazionalità, con una squadra infarcita di giocatori offensivi, posta a presidio della propria area, che non riesce in alcun modo ad allontanare la minaccia, e l’altra capace di gettare ogni residua energia nella assoluta necessità di segnare un gol, costruire una serie incredibile di occasioni, ma, per motivi indipendenti da qualsiasi concetto razionale, in quei 15’, non ci sarebbe stato nessun modo per potere cambiare il risultato finale.

LET IT BE - La divinità che il grande Gianni Brera definì Eupalla aveva deciso e, quindi, quel cross che ha attraversato tutta l’area davanti alla porta di Fumagalli non ha trovato nessun giocatore in maglia rossoblù a spingerlo in rete, il colpo di testa di Tumminello doveva essere preda del balzo felino e quasi disumano del portiere giallorosso, reincarnazione (in vita) di Dino Zoff o del fu Gordon Banks contro due edizioni del Brasile diverse, come prima il tiro di Graziani stoppato da una scivolata del signor Manuel Ferrini da Rimini in versione Van Dijk sotto la Kop di Anfield Road. Ed allora, il coro “Fuori le palle” e quel fumogeno lanciato verso l’area di rigore di Fumagalli intorno all’80’, si trasformano nell’urlo costante di incitamento, la Curva Sud diventa davvero una versione in miniatura de “La 12” alla Bombonera, alla fine festeggia solo una parte, i giocatori della Gelbison crollano stremati sul prato del “Franco Scoglio”, sopraffatti solo da eventi in cui il loro impegno massimo per arrivare pronti alle due sfide decisive non poteva incidere.

RESPECT - Agli uomini di Galderisi va riconosciuto grande rispetto ed averli superati nella doppia sfida, in virtù del migliore piazzamento va ad accrescere il merito del gruppo che ha ottenuto questo risultato, anche solo per essersi guadagnati i favori della Fortuna, perché, come ha detto lo stesso allenatore dei cilentani alla vigilia dell’ultima sfida: “La fortuna sa dove deve andare”.

MR LIZARD & THE BLACK BOX - Si parla di buona sorte, quindi il gancio è perfetto per ritornare nei binari tradizionali del nostro focus e trattare l’argomento Ezio Raciti. Il voto per la gara di ieri (7) non può che essere influenzato dal risultato, ma soprattutto dal cammino compiuto a partire dal 6 gennaio 2023, con 30 punti più una vittoria, afferrata per la coda come la lucertola porta fortuna che qualche buontempone dice sia custodita dal tecnico catanese, che, però, in realtà, può avere l’orgoglio di mettersi sul petto la medaglia della seconda salvezza consecutiva a Messina, prendendo in mano due cadaveri già preparati per l’inumazione, con le solite prefiche pronte a piangere l’ennesimo fallimento più o meno pilotato. La sua presenza da parafulmine e gestore di un gruppo di lavoro che definire eterogeneo è un eufemismo, facendolo funzionare per produrre, sul campo un totale di 56 punti (più un playout superato) nel periodo corrispondente a un campionato normale, ha un valore assoluto che supera abbondantemente qualche lettura errata all’interno delle singole partite o decisione tattica presa qualche volta in condomino, altre volte in modo indipendente rispetto al suo primo collaboratore, quel Daniele Cinelli (voto 7 complessivo anche per lui) che ha rappresentato quasi la “scatola nera” di questi due anni di professionismo del Messina creato nel 2017 da Pietro Sciotto, un allenatore che adesso, dopo il corso a Coverciano, potrà avere la possibilità di dimostrare quanto può valere da primo responsabile in panchina.

SIMPLY THE BEST - Tornando alla gara di ieri, l’esito, come era prevedibile con un minimo di attenzione rispetto a quanto accaduto almeno da un mese e mezzo, è stato determinato dal peso specifico di alcuni singoli in maglia biancoscudata, intendendo quel mix di carattere, condizione fisica, tecnica e soprattutto “huevos” per potere incidere. Il primo è il già citato Manuel Ferrini (voto 9), letteralmente dominante in qualsiasi situazione nella quale appare in scena, dal tiro con cui impegna il portiere avversario nel primo tempo, dai recuperi su Kyaremateng ai rinvii perentori, fino all’assist decisivo, e, infine, ai salvataggi miracolosi nel delirante finale di gara. Mettere un mancino a sinistra, seppure adattato, può funzionare, ma quella di ieri è stata una prova in cui la tattica c’entra poco. Accanto a Ferrini, nel piccolo Walhalla peloritano di questa stagione, si staglia la figura di Ermanno Fumagalli (voto 9, per non esagerare), classe 1982, la stessa di Gaetano D’Agostino da Sperone e di Antonio Cassano da Bari Vecchia, portiere folle come quelli antichi, che da un mese dorme in stanza con il cartonato di Marco Storari in maglia rosa del Messina in serie A, ieri pomeriggio in preda a una trance agonistica trascendentale, come uno sciamano posseduto da divinità azteche in grado di difendere la propria porta da qualsiasi attacco. Lui è stato il primo ad accorrere al capezzale del Messina lo scorso gennaio e l’ultimo a chiudere letteralmente la porta al momento di completare l’opera. A seguire questi due assoluti protagonisti c’è il secondo messinese di seguito che salva il Messina, anche se Antonino Ragusa (voto 8) viene da Trappitello e dalla nostra città ci è passato quando viaggiava per costruirsi, da quando era ragazzino, una carriera da calciatore capace di arrivare ad essere protagonista assoluto a livello europeo, oltre a vincere campionati importanti in piazze storiche del calcio italiano. La sua testa gli ha permesso di diventare un vero professionista e, ieri, lo ha fatto restare lucido fino al momento in cui è apparso da un altro pianeta per cambiare gli equilibri, come fece, con le dovute proporzioni, Domenico Aliperta al minuto 26 in un’altra gara essenziale per il futuro del calcio a Messina, decisa da eventi simili a quelli visti ieri. La corsa di quel ragazzo con la maglia numero 90 con le braccia aperte ad abbracciare tutta la gente in estasi deve rappresentare l’istantanea del primo step verso un futuro diverso, in cui le chiacchiere stiano finalmente a zero.

THE OTHERS - Ma questo non è un tema da trattare adesso, perché bisogna snocciolare i nomi degli altri protagonisti in maglia biancoscudata della performance totale andata in scena ieri al “Franco Scoglio”, considerando che, almeno mezzo punto in più su ogni valutazione deve essere messo in ragione della concentrazione massima in ogni momento della partita. Partendo dalla difesa, dove Berto (6,5) tenta di eseguire in modo corretto le due fasi, risultando più efficace nel primo tempo, rispetto a una ripresa nella quale gli equilibri vanno a farsi benedire, gli spazi si allargano ed ogni pallone lanciato, non a caso, verso le due punte messe da Galderisi diventa un pericolo. Trasciani (6,5) conferma la sua affidabilità e personalità messa in mostra nella stagione e mezza vissuta a Messina, mentre Ferrara (6,5) nel primo tempo cerca anche di aiutare in attacco oltre a dedicarsi con decisione alle chiusure difensive. A centrocampo soffre maledettamente il Messina, perché quello è il destino in questa partita con questi elementi a disposizione. Si inizia con la coppia centrale made in Africa Fofana-Konate, affidandosi a muscoli e freddezza, ma l’esito non è proprio esattamente coincidente a quanto programmato. Lamine (6,5) alterna giocate di classe e recuperi decisi a piccole amnesie, Amara (6,5) si fa sentire nei contrasti, ma altrettante volte arriva in ritardo e, alla fine, i due perdono il confronto con gli avversari, più presenti e puliti nella giocata. Raciti li sostituisce entrambi, prima il guineano, poi l’ivoriano, portato fuori a braccia da Kragl. Sostituire il tedesco in quel momento sembra un segnale della confusione totale che stava vivendo il Messina, con due attaccanti centrali in campo a mezz’ora dal 90’ e poi senza quello che, teoricamente, doveva essere l’arma principale per sbloccare la gara. In realtà, Ollie (6) non riesce, suo malgrado, ad incidere, spreca le chance avute su calcio di punizione da ottima posizione, batte male anche le altre palle ferme su cui può mettere in moto il sinistro, solo un paio di volte crea quel minimo di superiorità numerica che serve per creare pericoli. Evidentemente, la troppa pressione su di lui non lo ha aiutato. Ibou Balde (6,5) ci prova, specie nei primi 45’, a imporre gli strappi, creando difficoltà alle linee di centrocampo e difesa ospiti, calando alla distanza, fino ad essere sostituito immediatamente dopo il gol, per motivi esclusivamente tattici. Infine, tra i titolari, resta Perez (6), anche lui un po’ travolto dall’ansia col passare dei minuti, ma pesa la mancata stoccata in avvio sotto porta, oltre a una serie di situazioni nelle quali difetta al momento di concludere. Resta, ancora una volta, il lavoro sporco portato avanti con la solita abnegazione, ma ieri serviva anche altro.

LA SPORCA CINQUINA Uno sguardo anche a chi è entrato dalla panchina, in una situazione prossima alla disperazione, mantenendo un livello di lucidità precario, ma, alla fine, sufficiente per portare a casa il risultato. I primi a buttarsi nella mischia, al minuto 62, sono Zuppel e Curiale, il bambino e il vecchio pirata, se vogliamo usare due metafore. Definire il loro impatto non è semplice, ma entrambi entrano, in qualche modo, nei momenti decisivi, Zuppel (6,5) con la foga messa in ogni contrasto, sia da attaccante che da difensore aggiunto nel finale, Curiale (5,5) facendo la prima sponda nell’azione del gol, ma si fa ammonire per uno schiaffone dato a Gilli con palla lontana, trova anche il modo di divorarsi l’ennesima chance per segnare e, infine, impantanarsi con il pallone in una ripartenza buttata alle ortiche nei drammatici minuti di recupero. Al minuto 76, invece, arriva il turno di Marino (6) e Grillo (6,5), altri due prodotti del fantastico mercato estivo, quello che avrebbe dovuto avviare il programma triennale per andare in serie B con in panchina, il Mourinho della terza serie. Tralasciando questo flash-back, il primo si mette in mezzo, ma con poco costrutto prima del momento decisivo, il numero 7 caracolla inutilmente fino all’83’, quando improvvisamente colpito da una illuminazione, serve in corridoio Ferrini e il resto lo sappiamo tutti. Il quinto chiamato in ordine di tempo dalla panca è Fiorani, che disputa quasi 14’ di cui non credo ricordi nulla, così come noi, ma il ragazzino merita un 6 a prescindere, visto quanto sudore e impegno ci ha messo in questi mesi passati in riva allo Stretto.

NON SCURDAMM O PASSAT  - Mesi nei quali, a Messina, abbiamo vissuto almeno tre campionati diversi, perché i playout sono un mondo a parte, con solo due personaggi chiave sempre presenti: il presidente Pietro Sciotto e il dg facente funzioni Lello Manfredi. A fine gara, solo il secondo si è presentato in sala stampa, mentre il patron era già in viaggio verso casa, insieme al padre e ai suoi figli, presenti in tribuna accanto a lui. Dopo il fischio finale, solo un mantra (“non ci posso credere” ) ma , di sicuro, nella mente tanti pensieri contrastanti. Il futuro è già in corso, ma di questo ne parleremo con calma nei prossimi giorni. Intanto, si riparte dalla serie C.

Sezione: Il focus / Data: Dom 14 maggio 2023 alle 14:07
Autore: Davide Mangiapane / Twitter: @davidemangiapa
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