Appuntamenti, interviste, dichiarazioni, post sui social; tanti rumours, ma pochissima concretezza a proposito del futuro assetto societario in casa Acr Messina. Il 24 maggio c’è stata la nota di otto righe da parte del Presidente Sciotto, in cui si evidenziava, ancora una volta, la disponibilità a mettere in vendita la società, vista la assoluta assenza di risposte positive fattive ottenute durante il giro di “consultazioni” avviato subito dopo la salvezza ottenuta sul campo, con imprenditori del capoluogo e della provincia, interpellati per comprendere se vi fosse intenzione di sostenere il Messina finanziariamente sia attraverso acquisizione di quote che con sponsorizzazioni o altre forme di vicinanza.
Una indifferenza che, agli occhi di chi segue con passioni le sorti della biancoscudata, pesa più di una aperta ostilità, le cui ragioni non sono mai state esplicitate nel corso degli anni, anche perché si tratta di un distacco che risale a diversi decenni or sono, sulle cui ragioni andrebbe fatta una analisi approfondita. Infatti, nemmeno la presidenza Aliotta, con l’appoggio di realtà finanziarie importanti come la Ses, il gruppo Mondello-Gugliandolo, la famiglia Franza, riuscì a coinvolgere il resto dell’imprenditoria cittadina, men che meno della provincia e tutti ricordiamo la “guerra del caffè” tra i due marchi messinesi in serie A, dopo un breve periodo di coesistenza all’interno della struttura organizzativa biancoscudata.
Il successivo periodo con Pietro Franza al vertice della società vide il “fenomeno stella in più”, campagna promozionale inventata dall’allora presidente di Confcommercio Roberto Corona, con un complesso sistema di agevolazioni per i commercianti o imprenditori sottoscrittori che, in sostanza, avevano più vantaggi che impegni dalla loro adesione all’iniziativa.
Il Messina viene considerato un bene di poco valore intrinseco, indipendentemente dalla proprietà del momento, sempre oggetto di critiche, “a prescindere”, sulla validità del progetto sportivo, anche quando i risultati vanno bene o la situazione economica dei bilanci societari non tende al fallimento. Investire nel calcio non riveste quel carattere anche di “risarcimento sociale” o di contributo alla comunità riconosciuto in altre realtà territoriali non necessariamente lontane, basti pensare al Cosenza o al Catanzaro, o alle tante squadre pugliesi presenti in tutti i campionati, perfino dilettantistici.
Qualunque sia il presidente di turno del Messina, deve, secondo i bene informati o anche qualche tifoso, cedere “a zero” il pacchetto azionario e, se ha disponibilità finanziarie, addirittura favorire il passaggio di proprietà con qualche sponsorizzazione o apporto in denaro supplementare post-vendita. Ma, in realtà, al momento attuale, stendendo un velo pietoso sul passato, cosa dovrebbe fare un eventuale gruppo o anche un singolo imprenditore interessato al Messina? Semplicemente chiamare lo studio Delia, attualmente incaricato di fare una prima valutazione delle offerte, presentarsi e avviare la trattativa, sulla base di alcune considerazioni piuttosto semplici, che variano, ovviamente, a secondo del momento in cui si attiva la possibilità di contrattare l’acquisizione di quote o dell’intero pacchetto azionario.
Se, ipoteticamente, la società viene valutata, in base al titolo sportivo, ai calciatori sotto contratto e alla “forza del marchio” due milioni di euro (prezzo totalmente inventato per questo esempio, precisiamo), allora un potenziale acquirente, dopo avere esaminato la documentazione contabile aggiornata in tempo reale, dovrebbe dimostrare di poter mettere a disposizione, immediatamente, i fondi indispensabili per coprire le scadenze immediate (ad esempio, 800.000 euro), presentare le garanzie a copertura della fidejussione per l’iscrizione, trattare l’eventuale importo del costo residuo di acquisto, a quel punto innescando una serie di offerte e controfferte per arrivare alla somma che servirà a chiudere il passaggio di consegne. Qualunque altra ipotesi che non preveda la dimostrazione di avere a disposizione la liquidità immediata per chiudere l’operazione non è tra quelle che Pietro Sciotto ha intenzione di considerare, così come più volte evidenziato pubblicamente, in ultimo a gennaio 2022 e il 24 maggio scorso. Ciò in quanto l’attuale proprietà del Messina non ha necessità assoluta di svendere e, soprattutto, la società non si trova in condizione di prefallimento. Altra questione è quella della paventata non iscrizione in caso di mancato arrivo di un nuovo proprietario, eventualità mai messa in campo da Pietro Sciotto, almeno in una dichiarazione pubblica, e difficilmente ipotizzabile conoscendo l’orgoglio dell’imprenditore di Gualtieri Sicaminò. Ovviamente, in una piazza come quella di Messina, nella quale si sono vissute tre mancate iscrizioni nei campionati di competenza in trent’anni (cui si aggiungono quella dell’As e la cancellazione in corso di campionato del Football Club ex Città di Messina) tra cui, addirittura, una deliberata non partecipazione al torneo conquistato sul campo (la serie B nel 2008), appare inusuale avere un presidente che, invece, si impegna per garantire che ci sia il Messina tra i blocchi di partenza della serie C 2022-2023.
Ma, questo velo scuro costantemente appoggiato su qualsiasi considerazione riguardi il Messina, non favorisce nemmeno l’immagine esterna del fenomeno calcistico nella nostra città. Influendo, seppur in modo non essenziale, anche in eventuali investitori provenienti da fuori, e, sicuramente in maniera più marcata, sugli addetti ai lavori che devono essere quasi convinti ad accettare Messina, considerando come si vive il calcio dalle nostre parti. Certo, chiudere gli occhi sulla realtà non è mai una scelta opportuna, ma evidenziare sempre e solo gli aspetti negativi, anzi ingigantirli equivale ad “arredare” il tunnel e non a cercare la luce dell’uscita.
Autore: Davide Mangiapane / Twitter: @davidemangiapa
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