La retrocessione in serie D, giunta sabato scorso allo “Zaccheria”, sembra essere la preoccupazione minore per i tifosi del Messina, i quali sanno benissimo che, dopo una stagione vergognosamente sgangherata, questo era il verdetto più logico, seppure pesantissimo da digerire.
“C’è sempre un’altra stagione” diceva Paul Ashworth, l’alter ego di Nick Hornby, l’autore di “Febbre a 90°”, vera e propria bibbia del malato di calcio, ma questa speranza è stata negata più volte a chi ama la biancoscudata e, purtroppo, anche nell’anno 2025, come nel 1993, nel 2008 e nel 2017, non si sa quale sarà il futuro prossimo del Messina.
Una maledizione alla quale ci si potrebbe ribellare, ma nella quale si ricade, ciclicamente, malgrado tutto, per una serie di motivazioni derivanti da fattori diversi, quasi tutti risolvibili, che, però, combinati insieme, sembrano insormontabili.
“Un imprenditore serio non rischierebbe di prendere il Messina”. Quante volte abbiamo ascoltato questa sentenza? I più anziani almeno una decina, sommando i fallimenti e tutte le annate in cui avveniva un passaggio di proprietà ma senza nessuna prospettiva se non quella, immediata, del sollievo rispetto al disastro precedente. Un rosario di nomi che non vale la pena ricordare, con un canovaccio che si ripete in modo inquietante, fino all’altra frase ricorrente: “ci sono troppi debiti, meglio ripartire da zero”. Una considerazione buona per tutte le stagioni, indipendentemente da quanti sono realmente questi “debiti” o da cosa sarebbe possibile fare per ripartire. Un ritornello che sentiamo da ben 32 anni, spesso ripetuto dalle stesse persone, utile a dare tutte le responsabilità all’ultimo presidente o all’ultima proprietà, o a giustificare l’ennesimo fallimento sportivo, senza far minimamente tesoro degli errori commessi o permessi, ritornando sempre alla stessa fine, come se fossimo in un film di fantascienza.
A nulla vale fare confronti con altre realtà, anche vicine a noi, nelle quali si riesce a continuare (o riprendere) a fare calcio anche a discreti livelli, oppure qualcuno trova una soluzione per migliorare l’andamento e andare in mani sicure.
Palermo, Catania, Reggio Calabria, Cosenza, Catanzaro, Trapani, Siracusa sono luoghi con problematiche simili a quelle di Messina, ma qui non si riesce ad uscire dal vicolo cieco nel quale si è rimasti dopo la stagione 2004-2005, quella del settimo posto in serie A, con la stessa graduatoria nelle presenze allo stadio e negli abbonati, quando gli inviati dei giornali sportivi di tutto il mondo riempivano la tribuna stampa del “Franco Scoglio”, allora ancora “San Filippo”. Un’annata agonistica che fu l’apice del miglior ciclo, in termini di risultati, nella storia del calcio messinese nata nel 1900, una scalata entusiasmante dall’Eccellenza alla serie A, iniziata nel 1997, ma finì come le traiettorie dei razzi di Elon Musk, spiaccicandosi al suolo senza lasciare alcuna traccia sulla quale poter rinascere.
Perché il Messina in serie A non fece crescere una dirigenza al livello di quell’exploit, solo il compianto Christian Argurio, allora addetto stampa e fresco abilitato come ds nel 2008, l’anno dell’incredibile rinuncia alla serie B, fece strada nel mondo del calcio italiano. Nel settore giovanile crebbero alcuni calciatori che frequentarono le categorie più alte, ma una vera struttura non fu mai creata, senza un centro sportivo o tecnici formati per seguire i ragazzi.
LE ZAVORRE - Restò l’illusione di essere una città da serie A, ma si trattava di un castello di cartone senza fondamenta e, purtroppo, nemmeno l’ambiente è mai riuscito ad uscire dalle logiche di oltre un ventennio fa, dal presidente-tifoso alla Emanuele Aliotta (che riuscì ad essere amato al suo terzo tentativo in quel ruolo), cui seguì Pietro Franza, che avrebbe potuto portarci in Europa, ma invece finì la sua esperienza quel giorno nel quale i tre budget preparati per la serie B 2008-2009 insieme a Sergio Gasparin, vennero bocciati dai vertici della sua famiglia e del gruppo economico- finanziario proprietario del Messina. E sembra davvero una beffa del destino sentire sempre gli stessi nomi accostati a ipotetici gruppi o cordate locali pronte a intervenire quando le proprietà sono di altri e i risultati latitano, per poi svanire al momento in cui potrebbero fare qualcosa, ma non c’è mai tempo o “le condizioni non sono mature”.
RASSEGNARSI O AGIRE? – Le ultime notizie sul fronte giudiziario riportano l’udienza del prossimo 10 giugno presso il Tribunale di Messina come il crocevia nel quale si potrebbero verificare scenari diversi per l’Acr o per il futuro immediato del calcio peloritano. In realtà, si tratta di una data nella quale l’unica possibilità di ripartire dalla serie D continuando la storia della squadra appena retrocessa, sarebbe la presenza, all’udienza, di un soggetto che abbia già messo a disposizione le somme necessarie a chiudere le pendenze sportive relative all’ultima stagione e, quindi, risolvere lo stato di insolvenza da cui scaturisce la richiesta dei giudici per aprire la liquidazione giudiziale.
Diversamente, l’avvio di una procedura concorsuale non sarebbe conciliabile con i tempi per l’iscrizione al campionato di serie D, che scadono a metà luglio. Altra possibilità sarebbe l’intervento del socio al 20%, coinvolto in modo molto serio in faccende giudiziarie con conseguenze finanziarie pesanti, qualora si riscontrassero irregolarità nella gestione precedenti al 2 gennaio 2025 e, comunque, responsabile in solido per i debiti dell’Acr.
Ma, in questo caso, potrebbe esserci l’ipotesi di una richiesta di concordato preventivo e, quindi, una soluzione dilatata nei tempi per chiudere i debiti riguardanti, lo ricordiamo, stipendi dei calciatori da febbraio a maggio, contributi e ritenute da novembre 2024 a maggio 2025, oltre alla rateizzazione di contributi e ritenute concessa per il periodo Covid. Altro capitolo è quello delle perdite da coprire entro il 2027 (ammontanti a 1,2 milioni), ma si tratta di somme che andrebbero a ridurre le posizioni debitorie, inclusa la perdita 2024. Una situazione non eccessivamente pesante, confrontandola con le società di terza serie, ma, se nessuno si avvicina con la reale intenzione e i soldi a disposizione per agire subito, ecco che, come già avvenuto in passato, il destino appare segnato.
TUTTI IN DISCUSSIONE - Quindi, si apre una questione importante, ovvero come mai nessuno riesce a fare calcio seriamente a Messina? Un tema sul quale occorre trovare una risposta, mettendosi tutti in discussione, partendo dalle istituzioni, da decenni troppo tiepide sull’argomento, passando dalla classe imprenditoriale locale, totalmente disinteressata e, anzi, in certi casi ostile al “pallone”, senza trascurare la stampa, in balia degli eventi o disarmata di fronte a logiche troppo al ribasso, ma anche i cittadini messinesi, vicini alla squadra di calcio solo se si vince, più spesso snobisticamente distanti, per finire ai tifosi, vittime delle circostanze negative ma troppo spesso passivi, tanto da essere considerati facilmente manipolabili.
ERBA MOLLE - Il risultato di questi aspetti negativi? Messina, nel calcio, è diventata una piazza nella quale allenatori, dirigenti, calciatori, addetti ai lavori, passano per farsi notare, vista la discreta risonanza mediatica ancora esistente, se sbagliano trovano facilmente il capro espiatorio nella proprietà incapace di turno, per poi andare altrove. Tanto, “a Messina non si può fare calcio”.
SOGNO O UTOPIA? - Eppure, basterebbe un investimento in misura non eccessiva per poter ricostruire, anche partendo dalla serie D con penalizzazione, ma presentando un progetto credibile, una società solida, professionisti seri e trasparenza negli obiettivi. Tenendosi stretti quei 4.000-5.000 sempre presenti in ogni categoria e tornando a lavorare su chi ha ancora l’orgoglio di sentirsi messinese e, almeno quando c’è la partita, ritrovarsi insieme ad altri per sentire quel senso di comunità che è l’essenza del gioco del calcio come fenomeno popolare. Per guardare, finalmente, avanti, tutti insieme. Un sogno irrealizzabile, almeno al momento, ma, se ci negassimo anche la possibilità di immaginare un futuro migliore, allora i mediocri avrebbero già vinto, ancora una volta. Sempre e comunque, forza Messina.
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